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Il fondo patrimoniale: quale tutela per la coppia? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
venerdì 24 giugno 2016

Guida completa al fondo patrimoniale: cos’è, a cosa serve, quando, come e da chi può essere costituito, come si amministra, quando cessa e come può tutelare i beni della famiglia dai debiti.

 

Il fondo patrimoniale è strumento spesso utilizzato dai coniugi (rigorosamente uniti dal matrimonio, non essendo concesso ai semplici conviventi) per proteggere i beni della famiglia del pignoramento dei creditori; in pratica, i beni inseriti nel fondo patrimoniale, pur rimanendo intestati al precedente titolare, mutano la loro destinazione: si considerano cioè rivolti a garantire i bisogni della famiglia (si pensi alla casa, destinata a costituire il luogo di abitazione del nucleo familiare). In virtù quindi di questa destinazione diciamo “nobile”, la legge fa sì che i creditori non possano attaccare il fondo patrimoniale.

In questa guida cercheremo di spiegare in modo semplice ai nostri lettori che cos’è, come funziona, in che modo si costituisce e va gestito il fondo patrimoniale, quanto dura e come può proteggere i beni familiari dalle azioni dei creditori. Ma procediamo con ordine.

Che cos’è il fondo patrimoniale?

Il fondo patrimoniale è una convenzione (stipulata mediante atto notarile) mediante la quale viene attribuita ad alcuni beni (v. dopo) una specifica destinazione; con l’effetto che essi possono essere utilizzati, da quel momento in poi, solo per determinate finalità, né possono essere venduti o donati se non previa cancellazione dal fondo (e, se ci sono figli, su autorizzazione del giudice: v. dopo). Attraverso la costituzione del fondo, i beni che ne fanno parte vengono destinati all’esclusivo soddisfacimento dei bisogni della famiglia (come quelli di contribuzione, assistenza  e mantenimento). Sui beni facenti parte del fondo, quindi, viene costituito un vincolo giuridico in grado di proteggere il patrimonio familiare. Ecco in che modo ciò avviene.

Come funziona il fondo patrimoniale?

Dopo la costituzione del fondo patrimoniale non è possibile disporre dei beni che ne fanno parte per scopi estranei ai suddetti bisogni; si pensi, ad esempio, a quelli riguardanti l’esercizio di un’attività d’impresa commerciale o professionale.

Nella pratica, il fondo è principalmente utilizzato per difendere i beni della famiglia da eventuali pignoramenti promossi dai creditori per debiti sorti nello svolgimento dell’attività lavorativa (imprenditoriale o di lavoro autonomo) eventualmente svolta da uno dei coniugi. Difatti, in base al codice civile, i creditori dei coniugi non possono ipotecare, pignorare e vendere i beni oggetto del fondo se il debito contratto dal debitore è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia o comunque per i debiti che i creditori sapevano essere stati contratti per scopi estranei ai suddetti bisogni (si pensi a debiti nei confronti di creditori dell’azienda).

Al contrario, i creditori per debiti contratti a seguito di esigenze della famiglia (come, ad esempio, l’istruzione dei figli, le spese di manutenzione della casa familiare) potranno in qualsiasi momento pignorare e vendere i beni inseriti nel fondo.

Cosa significa “bisogni della famiglia”?

Quanto detto fa capire l’importanza, ma anche la difficoltà di individuare in modo chiaro il significato dell’espressione “bisogni della famiglia”, specie nel caso in cui chi ha costituito il fondo abbia contratto un debito; in quanto tale termine racchiude un concetto estremamente variabile in base alle diverse tipologie e agli obiettivi di ogni singolo nucleo familiare.

Tali bisogni possono certamente identificarsi nelle esigenze di vita della specifica famiglia, valutabili in base alla fascia di reddito in cui essa si colloca. Così, ad esempio, vi si possono racchiudere le spese relative all’abitazione (come quelle condominiali), all’acquisto di beni funzionali alla vita familiare (ad esempio l’automobile), ma, al contempo, non vi rientrano le spese voluttuarie (ad esempio relative all’acquisto di beni di lusso, come una seconda casa per le vacanze).

Sta di fatto che, tuttavia, non solo tali bisogni non sono definiti dalla legge, ma non vi è neppure uniformità di vedute da parte dei giudici sul punto: ad esempio, la Cassazione ha dato un’interpretazione piuttosto ampia del concetto di “bisogni della famiglia”, facendovi rientrare anche i debiti contratti per far fronte all’attività professionale o di impresa di uno dei coniugi (si legga a riguardo: “Fondo patrimoniale: si pignora più facilmente; bisogni della famiglia ampi”), secondo altre pronunce, al contrario, certi debiti (come quelli tributari) non sorgono non per soddisfare i bisogni familiari e pertanto non possono essere aggrediti (si legga sul punto: “Equitalia non ipoteca i beni del fondo patrimoniale”).

Chi può costituire un fondo patrimoniale?

Non a tutte le famiglie la legge attribuisce la possibilità di costituire un fondo patrimoniale.

La costituzione del fondo, infatti, è sempre stata riservata alle sole coppie unite in matrimonio.

La recente riforma sulle unioni civili e le convivenze di fatto [1] ha, tuttavia, attribuito la possibilità di costituire un fondo anche alle coppie dello stesso sesso che abbiano registrato un’unione civile.

Le unioni civili sono, infatti, assimilabili per moltissimi aspetti al matrimonio, atteso che la nuova legge stabilisce che “le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, trovino applicazione anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso”, fatta eccezione per quelle del codice civile non richiamate dalla legge e quelle sull’adozione.

Non possono invece costituire il fondo né:

– le coppie non sposate (sebbene abbiano dei figli),

– né i conviventi di fatto che abbiano regolarmente registrato la loro convivenza: a questi ultimi, infatti, la stessa legge di riforma [1] ha attribuito la possibilità di scegliere il solo regime patrimoniale della comunione di beni nel caso in cui abbiano deciso di stipulare un contratto di convivenza.

Tali diverse realtà familiari, dovranno semmai ricorrere a diversi  strumenti di tutela del patrimonio (come ad esempio il trust).

Più nello specifico, il fondo può essere costituito da:

        uno solo dei coniugi (e quindi dei partners legati da unione civile): la costituzione può essere fatta anche in vista del futuro matrimonio, ma in tal caso la sua efficacia sarà subordinata alla celebrazione del matrimonio e, presumibilmente (anche se la legge non lo specifica) alla registrazione dell’unione civile;

        entrambi i coniugi o i partners uniti civilmente;

        un terzo: in questo caso, se la costituzione è fatta con atto pubblico tra vivi, essa si perfeziona con l’accettazione dei coniugi (o dei partners), che può avvenire anche con atto pubblico successivo. E’ possibile anche la costituzione con testamento.

Se la costituzione da parte del terzo è fatta in favore di una coppia non ancora sposata (o unita civilmente), in tal caso l’atto si perfeziona solo con la accettazione delle parti ed è efficace solo dopo la celebrazione del matrimonio (o la registrazione dell’unione civile).

Quando si può costituire il fondo patrimoniale?

Il fondo può essere costituito [2] in qualsiasi momento del matrimonio o dell’unione civile o:

– con atto pubblico tra vivi: quindi un atto formato davanti ad un notaio

– o da un terzo con atto pubblico o con testamento.

Quali beni possono essere destinati al fondo patrimoniale?

I beni oggetto del fondo [3] devono essere individuati in modo specifico e destinati, come abbiamo detto, soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

Essi possono essere:

        beni mobili iscritti in pubblici registri (ad es. auto, moto, imbarcazioni),

        beni immobili (case e terreni),

          titoli di credito: essi devono essere vincolati e resi nominativi, mediante annotazione del vincolo o in altro modo idoneo (ad esempio le azioni societarie).

Non possono invece costituire oggetto del fondo i beni mobili non registrati (ad esempio dei mobili di pregio o dei gioielli), salvo che non si tratti di:

        frutti (naturali e non) dei beni conferiti nel fondo (ad esempio le somme percepite per la locazione di un appartamento o il raccolto di un fondo agricolo)

        e loropertinenze, ossia i beni funzionali al servizio o all’ornamento dei beni confluiti nel fondo (ad esempio l’impianto di climatizzazione di un appartamento o di irrigazione di un terreno).

Oggetto del vincolo, tuttavia, non è il bene in sé ma il diritto su di esso (ad esempio la nuda proprietà o l’usufrutto).

Conviene sempre costituire un fondo patrimoniale?

Nonostante gli indiscutibili vantaggi che il fondo può offrire, esso può non risultare sempre una scelta conveniente. Occorre, infatti, sempre valutare, prima di procedere alla sua costituzione, quali siano i beni che si intende proteggere, poiché potrebbe non valere la pena affrontare le spese di costituzione per farvi rientrare beni mobili di modico valore (come ad esempio, una vecchia auto o un motorino). Si legga a riguardo: “Il fondo patrimoniale: vantaggi e costi”.

I beni del fondo possono essere destinati a più di una famiglia?

No. Il vincolo di destinazione ai bisogni della famiglia può riguardare il soddisfacimento dei bisogni di una sola famiglia, pertanto i beni conferiti nel fondo patrimoniale non possono formare oggetto di più fondi destinati alla soddisfazione di più famiglie.

E’ invece possibile la costituzione di più di un fondo per soddisfare le esigenze della stessa famiglia.

Quali effetti produce la costituzione del fondo patrimoniale?

Se il fondo viene costituito da entrambi i coniugi o della coppia gay unita civilmente, il regime patrimoniale (di comunione o di separazione dei beni ) in vigore tra le parti cessa di applicarsi ai beni conferiti nel fondo, che saranno soggetti in via esclusiva alla disciplina ad esso relativa.

Ciò detto, è possibile distinguere principalmente due tipi di effetti derivanti dalla costituzione del fondo: effetti interni (relativi alla proprietà dei beni, alla destinazione dei loro frutti e ai poteri di amministrazione delle parti) ed effetti esterni, cioè nei confronti dei terzi (relativi alla pubblicità del fondo e all’esecuzione su di essi).

Vediamoli nello specifico.

A chi appartengono i beni del fondo?

Gli effetti interni [4] della costituzione del fondo comportano che i beni restano intestati a chi ne era già proprietario (ad esempio, se i coniugi sono in regime di comunione legale, la proprietà dei beni conferiti nel fondo spetta a entrambi), salvo che nell’atto di costituzione del fondo sia stabilito che la proprietà dei beni in esso conferiti sia di uno solo o di terzi (ad esempio i figli). In altre parole, la sottoposizione di un dato bene a fondo patrimoniale non implica, di regola, il trasferimento della proprietà di tale bene, che pertanto rimane di titolarità del soggetto (uno o entrambi i coniugi o partners oppure un terzo) che ne è il proprietario.

Come si amministrano i beni del fondo?

I coniugi o i partner legati da unione civile dovranno amministrare i beni secondo le norme sulla comunione dei beni, salvo diversa disposizione contenuta nell’atto di costituzione del fondo.

A questo proposito vanno distinti:

– gli atti di ordinaria amministrazione: che le parti possono compiere in modo separato (si pensi agli atti di conservazione, di riscossione e disposizione delle rendite per soddisfare i bisogni della famiglia),

– e quelli di straordinaria amministrazione (ad esempio la vendita, la costituzione di pegno, ipoteca, o l’apposizione di qualsiasi altro vincolo): che spettano ad entrambe le parti in modo congiunto.

Il giudice può intervenire nelle decisioni sulla amministrazione del fondo?

Per gli atti di straordinaria amministrazione in cui, come abbiamo visto, occorre il consenso di entrambe le parti, se  una di esse rifiuta di prestarlo, l’altra potrà rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione al compimento dell’atto, se esso è nell’interesse della famiglia.

Al pari, l’autorizzazione del giudice all’amministrazione del fondo può essere chiesta quando una delle parti è lontana o impedita.

Il giudice, può, inoltre escludere dall’amministrazione del fondo quella delle parti che stia rendendo una cattiva amministrazione dei beni in esso confluiti.

Che succede se ci sono figli minori?

In presenza di figli minori [5], i genitori non hanno piena libertà di amministrare i beni del fondo.

In  tal caso, infatti,  il compimento di alcuni atti di straordinaria amministrazione (come la vendita dei beni del fondo o l’apposizione di ipoteca, pegno o qualunque altro vincolo) necessita, oltre che dell’accordo dei genitori, anche dell’autorizzazione del giudice; autorizzazione che viene data solo ove essa sia necessaria o comunque presenti un’evidente utilità rispetto ai bisogni della famiglia.

Di norma, infatti, se i  genitori, nonostante la presenza di figli minori, alienano o vincolano i beni del fondo senza preventiva autorizzazione del tribunale, gli atti di disposizione da essi compiuti sono nulli.

In ogni caso, all’atto di costituzione del fondo, le parti possono convenire di escludere la necessità della preventiva autorizzazione del giudice, per il compimento di atti di straordinaria amministrazione [6].

Per quanto concerne le coppie gay unite civilmente, anche se per esse la legge sulle unioni civili [1] esclude ogni richiamo alla disciplina della filiazione, è presumibile che le medesime tutele possano riservarsi a tutti i casi in cui uno dei partner abbia potuto adottare il figlio naturale dell’altro (cosiddetta strepchild adoption). Ad ogni modo , vista la recente entrata in vigore della legge, non è ancora possibile fare riferimento ad alcun precedente giurisprudenziale sul punto.

Come fanno i terzi creditori a sapere quali beni fanno parte del fondo?

Affinché la costituzione del fondo possa essere fatta valere (in termini giuridici si dice “opposta”) nei confronti dei terzi che vogliano acquistare diritti sui beni oggetto del fondo, occorre che sia la costituzione che eventuali successive modifiche del fondo siano annotate, a cura del notaio rogante, a margine dell’atto di matrimonio (e quindi anche dell’unione civile) conservato nei registri dello Stato civile.

Per i titoli di credito, invece, l’annotazione del vincolo va effettuata sul documento.

La annotazione dovrà indicare:

– le generalità delle parti contraenti,

– la data del contratto

– e il notaio rogante.

La mancata o tardiva annotazione da parte del notaio comporterà la responsabilità di quest’ultimo per gli eventuali danni subiti dalle parti; la suddetta annotazione, infatti, rappresenta un atto necessario, perché  i creditori sorti successivamente ad essa non potranno più aggredire i beni, se non entro precisi limiti (come vedremo a breve).

Se l’atto di destinazione riguarda beni immobili, è necessario che l’atto costitutivo venga anche trascritto nei registri immobiliari [7]. Se, però la trascrizione avviene senza la preventiva annotazione, il fondo non potrà essere opposto ai terzi [8].

In che modo il fondo può tutelare la famiglia dai debiti?

Come dicevamo in premessa, una volta che i beni sono confluiti nel fondo, i creditori possono aggredirli solo se i debiti per cui agiscono sono stati contratti per soddisfare i bisogni della famiglia (ad esempio, l’acquisto della casa familiare).

Quali debiti sono tutelati dal fondo?

Se, in generale, quanto appena detto vale con riguardo a tutti i debiti, sorti prima o dopo la costituzione del fondo [9], occorre però fare una distinzione.

Se è vero, infatti, che il fondo protegge i beni che ne fanno parte se, alla data della sua costituzione, il soggetto disponente non abbia contratto debiti, d’altro canto, però, quando il debito sia già maturato, la nostra legge protegge le ragioni del creditore.

Bisogna perciò distinguere:

– 1. I debiti contratti dopo la costituzione del fondo: in tal caso i beni che costituiscono il fondo possono essere sempre aggrediti dai creditori (con un’ipoteca e un pignoramento) solo se i debiti sono sorti per soddisfare i bisogni della famiglia (ad esempio: la coppia ha chiesto un finanziamento per poter affrontare i costi di ristrutturazione della casa familiare). L’azione esecutiva non può, invece, essere esperita se il creditore conosceva l’estraneità dell’obbligazione alle esigenze della famiglia; lo sarebbe ad esempio, o almeno dovrebbe esserlo, il debito contratto per l’esercizio dell’attività professionale di uno dei coniugi.

In tali ipotesi spetta al debitore il compito di provare che la spesa è stata sostenuta per bisogni estranei alla famiglia (così impedendo l’aggressione del fondo in modo da permettere al giudice di escluderne la sua riconducibilità ai bisogni della famiglia [10]; si pensi, ad esempio, all’acquisto di un’auto da collezione (bene, del tutto voluttuario).

2. I debiti contratti prima della costituzione del fondo: in tal caso, la legge riserva ai creditori una tutela più limitata, in quanto essi dovranno promuovere, entro 5 anni dall’atto di costituzione del fondo, un giudizio vero e proprio mediante un’azione azione revocatoria [11] diretta ad ottenere che il fondo sia dichiarato inefficace nei loro confronti. Sul punto la giurisprudenza è sostanzialmente unanime [12] nel ritenere che possono essere revocati gli atti con i quali uno o entrambi i coniugi (come pure un terzo) costituiscono un fondo patrimoniale destinando determinati beni a “far fronte ai bisogni della famiglia”; si ritiene, infatti, che la costituzione del fondo, rendendo i beni in esso conferiti non aggredibili dai creditori, (se non entro determinati limiti [13]), riduce la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio di chi ha costituito il fondo [14].

Cosa bisogna provare per ottenere la revoca del fondo?

Il creditore, quindi, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione compiuti dal debitore sul patrimonio familiare e che rechino pregiudizio alle sue ragioni. Si afferma, infatti, che poiché la costituzione del fondo patrimoniale non è obbligatoria per legge (cioè non rappresenta un dovere giuridico) ma rappresenta, invece, un atto a titolo gratuito (poiché non trova alcuna contropartita in un’attribuzione patrimoniale in favore delle parti) [15], per poter esperire l’azione revocatoria basta provare che la costituzione è avvenuta nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio.

Tale prova  graverà, in tal caso, sul creditore, il quale dovrà  dimostrare nello specifico al giudice che:

– il debito già sussisteva alla data di costituzione del fondo

– e che chi ha costituito il fondo era consapevole di poter pregiudicare gli interessi dei creditori [16].

La prova al giudice della consapevolezza (cosiddetto elemento psicologico) può essere fornita anche attraverso semplici presunzioni; anche la semplice prova che il debitore non disponga di ulteriori beni, di valore pari o superiore, sui quali il creditore avrebbe potuto agire con l’esecuzione forzata può rappresentare un prova sufficiente. In altre parole, basta la semplice consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore senza che occorra dimostrare la specifica volontà del debitore di pregiudicare la garanzia patrimoniale del creditore, né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo [17].

Il pregiudizio, invece, può essere individuato anche nel semplice pericolo che il patrimonio del debitore sia insufficiente a garantire il credito del revocante o che vi sia maggiore difficoltà od incertezza di soddisfare il credito tramite un’azione esecutiva.

Da quanto detto, risulta, quindi, evidente il rischio (se non proprio l’inutilità) derivante dal fatto di costituire un fondo quando il debito (di cui si vorrebbe eludere il pagamento) si già stato contratto.

L’azione revocatoria è sempre necessaria per i debiti sorti prima del fondo?

La distinzione su operata ha subito un parziale mutamento a seguito di una recente riforma della giustizia [18] per effetto della quale i creditori non dovranno più agire necessariamente con l’azione revocatoria.

La riforma, infatti, prevede che tutte le volte in cui il debitore abbia inserito il bene in un fondo patrimoniale dopo la nascita del credito, il creditore potrà ugualmente procedere ad esecuzione forzata (e quindi al pignoramento del bene), anche senza aver ottenuto una sentenza che dichiari l’inefficacia del fondo (a seguito di revocatoria).

Ciò è possibile a condizione che il creditore trascriva il pignoramento entro 1 anno dalla data di costituzione del fondo patrimoniale.

In pratica, i beni inseriti nel fondo patrimoniale possono essere pignorati senza preventiva azione revocatoria se il creditore (sempre che il credito sia anteriore alla costituzione del fondo) abbia trascritto l’ atto di pignoramento entro 1 anno dalla annotazione del fondo nei pubblici registri.

Schematizzando, i creditori:

– possono pignorare i beni del fondo, entro 1 anno dalla sua costituzione, se hanno trascritto il proprio atto di pignoramento nell’anno successivo alla costituzione del fondo medesimo;

– mentre, dopo detto anno e per i successivi 4 anni (cioè entro 5 anni dalla costituzione del fondo) dovranno intraprendere un’azione revocatoria.

Risulta evidente come tale riforma abbia fortemente agevolato l’azione dei creditori, rendendo il fondo patrimoniale uno strumento di tutela dei beni familiari sempre meno efficace. Di tanto abbiamo parlato nell’articolo: “Addio fondo patrimoniale: tutela della casa familiare cancellata”.

Si può modificare il fondo patrimoniale?

Chi ha costituito il fondo può sempre cambiare idea e decidere o di revocarlo o di inserirvi ulteriori beni.

L’esigenza di modifica può essere dettata, ad esempio dal mutamento dei bisogni della famiglia o del regime patrimoniale scelto dalla coppia.

Sarà però necessario un nuovo atto notarile, sia che le modifiche riguardino:

– il suo contenuto: in tal caso potranno essere operate delle variazioni circa la composizione del fondo (nel senso di farvi rientrare ulteriori beni o escluderne altri rispetto alla originaria composizione);

– che la sua disciplina: in tal caso tutte le parti che abbiano partecipato all’atto costitutivo del fondo dovranno prestare il loro consenso.

Anche le modifiche, al pari della costituzione, richiedono la preventiva annotazione a margine dell’atto nei registri dello Stato civile.

Le suddette modifiche vanno però tenute distinte dagli atti di disposizione sui beni conferiti nel fondo (come, ad esempio, la vendita o la donazione): tali atti rientrano, infatti, nei poteri di amministrazione straordinaria del fondo anche quando ne mutano la consistenza (accrescendone o riducendone il valore) e – a differenza delle modifiche – non richiedono l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.

Quanto dura il fondo patrimoniale?

Il fondo patrimoniale [19], e quindi la destinazione data ai beni in esso confluiti, cessa a seguito:

– dell’annullamento del matrimonio

– del divorzio (più tecnicamente scioglimento o cessazione dei suoi effetti civili)

–della morte di uno dei coniugi.

Va da sé che le stesse regole valgano anche nel caso di annullamento, scioglimento dell’unione civile o morte di uno dei partners.

Inoltre, anche se non espressamente previsto dalla legge, si ritiene che le parti possano decidere anche di far cessare il fondo di comune accordo [20].

Il fondo, tuttavia, se vi sono figli minori, dura fino a quando il figlio più piccolo non abbia raggiunto la maggiore età; in questo caso il giudice, su istanza dell’interessato, potrà stabilire regole per l’amministrazione del fondo o attribuire ai figli una quota dei beni del fondo, in godimento o in proprietà.

Non determinano, invece, la cessazione del fondo:

– né l’intervenuta separazione giudiziale dei beni,

– né la separazione personale dei coniugi

– e neppure il fallimento di uno di essi: in tale ultimo caso, invece, il fondo patrimoniale è acquisito alla massa fallimentare per soddisfare i soli creditori aventi diritto ad agire, secondo le regole che prima abbiamo visto, sui beni che ne sono oggetto.

A seguito della cessazione, i beni del fondo di proprietà di una solo delle parti ritornano nella disponibilità esclusiva di quest’ultima, mentre per la divisione dei beni comuni (come è stato per la loro amministrazione) si applicano le norme riguardanti lo scioglimento della comunione legale, se non è stato previsto in modo diverso.

 

 

[1] Il D.D.L “Cirinnà, sulle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze,  convertito con L. 76/2016, al co. 13 prevede l’ applicazione pressoché integrale di tutto il capo VI del cod. civ. riguardante il regime patrimoniale della famiglia. In particolare troverà applicazione la sezione II (del fondo patrimoniale), la sezione III (della comunione legale), la sezione IV (della comunione convenzionale), la sezione V (del regime di separazione dei beni) e la sezione VI (dell’impresa familiare).

[2] Art. 167 co. 1- 4 cod. civ.

[3] Art. 167 c. 1 e 5 cod. civ.

[4] Artt. 168 e 169 cod. civ.

[5] Art 169 cod. civ.

[6] Trib. Milano 29.04.2010, Trib. Milano, 17.01.2006, Trib. Brescia, 9.06.2006.

[7] Art. 2647 cod. civ.

[8] Cass. SU sent. n. 21658/2009.

[9] Cass. n. 15862/2009, n. 3251/1996.

[10] Cass. sent. n. 2970/2013 e n. 5684/2006.

[11] Art. 2901 cod. civ.

[12] Cfr. Cass., n. 2530/2015; n. 26223/2014;  n. 7250/2013; Trib. Cassino, 17.04.2014; Trib. Cagliari, 16.04.2014; Trib. Pisa, 4.03.014; Trib. Napoli,, 23.07.2013; Trib. Cagliari, 22.02.2013; Trib. Nocera Inferiore, 22.10.2011 e  30.03.2010; Trib. Bari, 4.03.2010; Trib. Milano, 14.01.2010; Trib. Milano, 14.01.2010; Trib. Bologna, 9.06.2008; Trib. Monza, 9.09.2005.

[13] Art. 170 cod. civ.

[14] Cfr. Cass. sent. n. 22878/2012; n. 8680/2009; n. 10725/96.

[15] Cfr. Cass.  sent. n. n. 26223/2014; n. 7250/2013; n. 5934/2010;  n. 10052/2009; n. 24757/2008; n. 17418/2007; n. 966/2007;  n. 4933/2005; n. 19131/2004; n. 11537/2002.

[16] Cass. sent. n. 966/2007.

[17] Trib. Cassino, 17.04.2014; Trib. Cagliari, 16.04.2014;Trib. Napoli, 22.07.2013.

[18] Dl n. 83/2015 che ha introdotto l’art. 2929-bis cod. civ.

[19] Art. 171 cod. civ.

[20] Trib. Milano, 6.03. 2013; Trib. Milano, 27.04. 2010.

 

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Passaggio a semaforo rosso e autovelox: come contestare la foto PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
venerdì 24 giugno 2016

Multe e fotografie scattate dall’autovelox per il passaggio con il rosso o per eccesso di velocità: quali condizioni perché la contravvenzione sia valida?

 

Le multe per eccesso di velocità e quelle per passaggio con il semaforo rosso possono essere contestate all’automobilista tramite la prova della fotografia scattata dall’autovelox alla targa dell’automobile, ma ad alcune condizioni, in assenza delle quali la multa stessa è nulla. A ricordare tali regole è una recente sentenza del Tribunale di Lecce [1]. Eccole qui di seguito.

Autovelox anche per il passaggio col rosso

Innanzitutto è bene chiarire che l’apparecchio autovelox a rilevazione automatica, quello cioè che non necessita della contemporanea presenza della pattuglia di polizia per poter funzionare, può essere utilizzato sia per scattare le foto alle auto che violano i limiti di velocità, sia a quelle che passano con il rosso. Dunque, lo stesso strumento può fornire due importanti dati alla polizia che, pertanto, una volta verificata la correttezza della fotografia scattata dal dispositivo di controllo automatico, potrà inviare la multa a casa del trasgressore.

La taratura deve avvenire almeno una volta all’anno

In entrambi i casi – ossia tanto per le multe elevate per eccesso di velocità, che per quelle al passaggio con il semaforo rosso – è necessario che l’autovelox automatico sia stato oggetto di revisione e taratura almeno una volta all’anno. Ciò è stato sancito dalla Corte Costituzionale con una sentenza dell’anno scorso che ha dichiarato parzialmente illegittimo il codice della strada nella parte in cui, appunto, non prevede l’obbligo di tali controlli periodici: controlli che si rendono necessari per garantire il buon funzionamento di dispositivi che, per l’accuratezza dei calcoli a cui sono chiamati, è bene che rispondano alle massime garanzie di precisione.

I certificati di tali controlli periodici devono essere esibiti all’automobilista, qualora ne faccia richiesta, presso l’organo che ha elevato la contravvenzione. È bene sempre documentare tale richiesta, di modo ché, se l’amministrazione non risponde, l’interessato potrà sempre, in un’eventuale impugnazione al giudice di pace, fornire le prove della propria attività preliminare e, in caso di rigetto del ricorso, evitare quantomeno la condanna alle spese.

Se il certificato non viene prodotto neanche in corso di causa, la multa dovrà essere annullata.

La sentenza in commento precisa infatti che le amministrazioni che utilizzano rilevatori fotografici anche per le infrazioni al passaggio del semaforo rosso, in maniera automatica, sono tenute a fare eseguire le verifiche tecniche e le eventuali tarature con cadenza almeno annuale, a supporto della corretta funzionalità dei dispositivi stessi. Nel caso concreto non è stata fornita la prova dell’avvenuta verifica dell’apparecchiatura rilevatrice almeno un anno prima dell’accertamento dell’infrazione, con conseguente annullamento della contravvenzione.

Come deve essere la fotografia al semaforo rosso

La sentenza offre infine un suggerimento per contestare le fotografie scattate al passaggio dell’auto a semaforo rosso. In tale ipotesi, infatti, occorrono due precisi fotogrammi:

·         nel primo deve essere rappresentata l’intera sagoma dell’auto prima del semaforo rosso;

·         nel secondo, invece, la vettura deve essere ripresa con l’intera sagoma oltre la linea di stop segnata dal semaforo rosso.

Solo in presenza di tali elementi può ritenersi documentata l’infrazione.

Qualora non venga seguita tale procedura non è possibile acclarare con certezza che l’auto abbia effettuato il superamento della linea semaforica quando già proiettava luce rossa, ben potendo la stessa avere iniziato l’attraversamento con luce gialla, in seguito divenuta rossa.

 

[1] Trib. Lecce sent. n. 2172/2016.

 

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Come sospendere la riscossione Equitalia PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
giovedì 23 giugno 2016

Istanza in autotutela per sospendere la cartella esattoriale, gli avvisi di intimazione, il fermo amministrativo, il preavviso di ipoteca e ogni altro atto della riscossione.

 

Il contribuente che riceve una cartella esattoriale per importi che ritiene non dovuti può chiedere ad Equitalia la sospensione della riscossione, presentando un’apposita istanza in autotutela.

Il procedimento di sospensione legale della riscossione è stato recentemente oggetto di modifiche [1]. Vediamo le regole aggiornate [2].

Cause di sospensione della riscossione

La legge prevede che gli Agenti della Riscossione sono tenuti a sospendere la riscossione delle somme iscritte in cartella o richieste tramite avviso di addebito, qualora il contribuente presenti una dichiarazione attestante la sussistenza di una tra le seguenti cause idonee a rendere il credito non esigibile:

– prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo;

– provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore;

– sospensione amministrativa comunque concessa dall’ente creditore;

– sospensione giudiziale, oppure sentenza che abbia annullato in tutto o in parte la pretesa dell’ente creditore, emesse in un giudizio al quale il concessionario per la riscossione non ha preso parte;

– pagamento effettuato, riconducibile al ruolo in oggetto, in data antecedente la formazione del ruolo stesso, in favore dell’ente creditore.

Si tratta di cause tassative: non è più prevista la clausola aperta di “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso” (clausola soppressa con le modifiche del 2015).

Il contribuente deve allegare all’stanza di sospensione, la documentazione comprovante il suo diritto.

Termini di presentazione dell’istanza di sospensione della riscossione

L’istanza di sospensione legale della riscossione deve essere presentata, a pena di decadenza, entro 60 giorni (non più 90) dalla data di notifica del primo atto di riscossione o di un atto della procedura cautelare o esecutiva.

Cosa succede dopo la presentazione dell’istanza di sospensione?

L’Agente della riscossione, una volta ricevuta l’istanza, la trasmette entro dieci giorni all’ente creditore al fine di avere conferma dell’esistenza delle ragioni del debitore ed ottenere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informativi.

Si ricorda, infatti, che l’Agente non ha il potere di pronunciarsi sui crediti iscritti a ruolo (tale potere spetta solo agli enti creditori).

L’ente creditore, effettuate le verifiche del caso, provvede:

– ad adottare i dovuti provvedimenti di annullamento/sgravio o di sospensione dell’Avviso/Cartella, se sono confermate le ragioni del contribuente e se non sono già presenti in archivio gli stessi provvedimenti;

– a trasmettere al competente Agente della Riscossione la revoca della sospensione da quest’ultimo effettuata, al fine della ripresa delle attività di recupero del credito, nel caso in cui non fossero confermate le ragioni del debitore;

– a dare comunicazione dei provvedimenti adottati al contribuente e, tramite PEC, anche all’Agente della Riscossione.

Termine di risposta all’istanza di sospensione della riscossione

L’ente creditore, (entro 220 giorni) tramite apposito canale telematico, a mezzo posta elettronica certificata oppure a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, comunica al debitore l’esito dell’esame della dichiarazione, dando altresì comunicazione al concessionario del provvedimento di sospensione o sgravio ovvero conferma della legittimità del debito iscritto a ruolo.

Trascorso il termine di 220 giorni senza che l’ente creditore si sia espresso, le partite di credito interessate sono annullate di diritto, automaticamente discaricate nei confronti dell’Agente della Riscossione e contestualmente cancellate dalle scritture patrimoniali dell’Ente creditore.

L’annullamento non opera nei casi di sospensione giudiziale o amministrativa o di sentenza non definitiva di annullamento del credito.

Si possono presentare più istanze di sospensione?

La reiterazione della dichiarazione – tesa ad ottenere la sospensione legale – non è ammessa e, in ogni caso, non comporta la sospensione delle iniziative finalizzate alla riscossione. Viene così scoraggiato l’eventuale utilizzo dello strumento a fini esclusivamente dilatori del recupero del credito.

 

[1] Legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Legge di stabilità 2013) modificata dal D.Lgs. 159/2015.

[2] Novità riepilogate dall’Inps nel messaggio 10 giugno 2016, n. 2609. L’istituto ha comunicato che è in corso di implementazione una procedura di gestione e definizione delle “Sospensioni Legali” e di registrazione dell’attività già svolta, il rilascio della quale verrà comunicato con successivo messaggio.

 

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Detrazioni interessi mutui, ecco quanto risparmi PDF Stampa E-mail
Mutui a Privati
mercoledì 22 giugno 2016

Il Fisco consente di detrarre il 19% di un importo massimo di 4.000 euro

 

In fase di dichiarazione dei redditi, le detrazione giocano un ruolo chiave per poter pagare meno tasse possibili. Tra queste, hanno un peso preponderante quelle sugli interessi per i mutui ipotecari, relativi all’acquisto di una prima casa.

LE DETRAZIONI - Secondo quanto riporta InvestireOggi.it  il Fisco consente di detrarre il 19% di un importo massimo di 4.000 euro, per cui il risparmio ottenibile nell’anno è fino a 760 euro. Dobbiamo operare una differenza tra i mutui contratti prima del 1993, purché l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale entro l’8 dicembre del 1993. In questi casi, il contribuente ha diritto a una detrazione del 19% su un monte-interessi massimo di 4.000 euro. Ciò spetta a ciascun titolare del mutuo. Tuttavia, se nel corso del 2015 l’immobile non è stato adibito più ad abitazione principale per motivi diversi dal lavoro, la detrazione per ciascun titolare del mutuo spetta al 19% su 2.065,83 euro.

DOPO IL 1993 - Per i mutui contratti successivamente al 1993, la detrazione al 19% spetta sempre su 4.000 euro al massimo ogni anno, ma non per ciascun titolare del mutuo, bensì complessivamente. Quindi, se il mutuo è stato contratto al 50% da entrambi i coniugi, il marito potrà detrarre il 19% fino a 2.000 euro e altrettanto potrà fare la moglie. Capita, poi, che il finanziamento ottenuto sia di importo superiore al costo di acquisto dell’immobile. In questi casi, la detrazione spetta su una somma pari a: costo di acquisto dell’immobile x interessi pagati nel 2015 / capitale dato in mutuo.

MUTUO TRA CONIUGI - Infine, cosa succede quando c’è in corso una pratica di divorzio tra coniugi, entrambi intestatari del mutuo? Fino alla sentenza del divorzio, entrambi conservano il diritto alla detrazione. Successivamente, il coniuge che ha lasciato l’abitazione può continuare a detrarre gli interessi passivi solo nel caso che siano rimasti nell’immobile i figli o altri familiari (non l’ex coniuge, che non è più familiare).

 

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Imprenditoria femminile: finanziamenti agevolati sino al 2017 PDF Stampa E-mail
Impresa
mercoledì 22 giugno 2016

Prolungate le misure del protocollo Pari opportunità per l’imprenditoria femminile, ecco le misure finanziabili

 

È stato firmato qualche giorno fa il Protocollo d’intesa per lo sviluppo e la crescita dell’imprenditorialità e dell’autoimpiego femminili. Hanno aderito alla firma Confprofessioni e il Dipartimento Pari Opportunità. Si tratta di un accordo che apre un nuovo canale di finanziamento per facilitare l’accesso al credito da parte delle libere professioniste.

 

Cos’è il protocollo per l’imprenditorialità e l’autoimpiego femminili

Il Protocollo punta a favorire l’accesso al credito alle donne imprenditrici attraverso alcune agevolazioni specifiche a loro dedicate.

Adottato per la prima volta nel 2014 da parte del Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e dal MISE, dall’ABI, da Rete Impresa Italia, Confindustria e Alleanza delle Cooperative italiane esso è stato recentemente prorogato fino al 31 dicembre 2017.

 

Agevolazioni imprenditoria femminile: finanziamenti alle libere professioniste

Il piano di interventi prevede tre linee per la concessione di finanziamenti alle donne:

·         Investiamo nelle donne: finanziamenti per realizzare nuovi investimenti, materiali o immateriali, per lo sviluppo dell’attività di impresa o della libera professione;

·         Donne in startup: finanziamenti finalizzati a favorire la costituzione di nuove imprese o l’avvio della libera professione;

·         Donne in ripresa: finanziamenti finalizzati a favorire la ripresa delle PMI e delle lavoratrici autonome che, per effetto della crisi, attraversano una momentanea situazione di difficoltà.

I prestiti vengono erogati in base al protocollo citato agli intermediari finanziari (banche e società di credito) a condizioni competitive rispetto alla normale offerta in relazione ad operazioni simili e con lo stesso grado di rischio. È ad essi dunque che le libere professioniste dovranno rivolgersi per ottenere i tassi vantaggiosi.

All’interno del medesimo protocollo si prevede anche la possibilità chiedere, per una sola volta, la sospensione del rimborso del finanziamento. Si tratta della cosiddetta “Sospensione Donna“, che permette appunto di alleviare la pressione relativa alla restituzione del finanziamento per un periodo massimo di 12 mesi, senza che siano necessarie garanzie aggiuntive.

La “Sospensione donna” può essere richiesta nei seguenti casi:

·         Maternità dell’imprenditrice o della lavoratrice autonoma;

·         Malattia invalidante di un genitore o di un parente o affini entro il terzo grado conviventi dell’imprenditrice o della lavoratrice autonoma;

·         grave malattia dell’imprenditrice o della lavoratrice autonoma, o del suo coniuge, o convivente, o dei figli, anche adottivi.

 

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Ultimo aggiornamento ( domenica 10 luglio 2016 )
 
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