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Nuova Sabatini PDF Stampa E-mail
Consulenza Aziendale
mercoledì 22 giugno 2016

La misura “Beni Strumentali – cd. Nuova Sabatini” è stata introdotta con il decreto del Fare (decreto legge n. 69/2013) ed è finalizzato a favorire l’accesso al credito di micro, piccole e medie imprese per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature.

Con circolare del 10 febbraio 2014, seguita dalla circolare di adeguamento n. 71299 del 24 dicembre 2014 il Ministero dello Sviluppo Economico ha disciplinato termini e modalità di accesso alla misura anche in considerazione dell’entrata in vigore dei nuovi regolamenti comunitari “de minimis”.

La nuova Sabatini consente a micro, piccole e medie imprese l’accesso a finanziamenti agevolati per l’acquisto di beni strumentali aziendali. Presso Cassa Depositi e Prestiti, è stato costituito un fondo da.

 

Dal 2 maggio 2016 è possibile presentare domanda per fruire delle agevolazioni della Nuova Sabatini rivolte alle piccole e medie imprese che effettuano investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature. Nuova in ogni senso, poiché rispetto al passato ha visto l’estensione dei finanziamenti anche ai fondi non vincolati alla provvista di Cassa Depositi e Prestiti. La Circolare MiSE n. 26673 del 23 marzo 2016 ha fissato termini e modalità di presentazione delle istanze.

La Legge di Stabilità 2015 ha fissato a 5 miliardi di euro il plafond di Cassa Depositi e Prestiti mentre lo stanziamento per il contributo MiSE, relativo agli anni 2014-2021 è pari a 385,8 milioni di euro

Vediamo nel dettaglio come accedere al finanziamento.

 

Beneficiari

·         Microimpresa è un’impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi 2 milioni di euro;

·         Piccola impresa è l’impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro;

·         Media impresa è l’impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro.

Possono accedere anche le piccole e medie imprese di ogni settore. Restano escluse le imprese del settore carboniero, delle attività finanziarie e assicurative nonché della fabbricazione di prodotti di imitazione o di sostituzione del latte o dei prodotti lattiero-caseari. Sono altresì escluse le attività connesse all’esportazione e gli interventi subordinati all’impiego principale di prodotti interni rispetto ai prodotti di importazione.

Operazioni agevolabili

Il contributo è erogato per la realizzazione di investimenti, anche mediante operazioni di leasing finanziario, per l’acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa, attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, in software ed in tecnologie digitali.

Gli interventi devono essere funzionali:

·         alla creazione di una nuova attività produttiva;

·         all’ampliamento di una unità produttiva esistente;

·         alla diversificazione della produzione in uno stabilimento;

·         al cambiamento fondamentale del processo di produzione in uno stabilimento esistente;

In ogni caso l’investimento non può riguardare beni che costituiscono mera sostituzione di beni esistenti.

Ogni operazione deve essere avviata soltanto dopo la presentazione della domanda di accesso al contributo.

Natura ed ammontare delle agevolazioni

A fronte di finanziamenti concessi da istituti bancari ovvero altri intermediari, purché convenzionati col Ministero dello Sviluppo Economico, è  concesso un contributo pari all’ammontare degli interessi calcolati in via convenzionale su un finanziamento al tasso d’interesse del 2,75%.

I finanziamenti devono avere durata quinquennale per importi non inferiori ad € 20.000 e non superiori ad € 2.000.000.

La concessione dei finanziamenti può essere assistita anche dalle garanzie del Fondo di Garanzia per le PMI, nei limiti dell’80% dell’ammontare del finanziamento.

 

 Requisiti

Gli investimenti devono essere avviati successivamente alla data della domanda di accesso ai contributi e conclusi entro 12 mesi dalla stipula del contratto di finanziamento., a fronte del quale il Ministero concede un contributo in conto impianti, pari all’ammontare degli interessi calcolati in via convenzionale su un finanziamento al tasso d’interesse del 2,75% della durata di 5 anni e importo equivalente al finanziamento concesso. La concessione del finanziamento – che può essere assistita dalla garanzia del Fondo centrale fino all’80% - deve essere:

·         deliberato entro il 31 dicembre 2016;

·         a copertura del 100% degli investimenti;

·         di durata massima, compreso preammortamento o prelocazione non superiore a 12 mesi, di 5 anni decorrenti dalla stipula del contratto di finanziamento o dalla consegna del bene in caso di leasing;

·         deliberato per un valore compreso tra 20.000 e 2 milioni di euro, anche frazionato in più iniziative di acquisto;

·         erogato in soluzione unica, entro 30 giorni dal contratto di finanziamento o consegna del bene in leasing. 

 

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Multe e cartelle per pagamenti in ritardo: dopo 5 anni scadono PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
mercoledì 22 giugno 2016

In caso di cartella di pagamento notificata da Equitalia per una multa stradale o per le sanzioni conseguenti al pagamento in ritardo della multa stessa, la prescrizione è di cinque anni.

 

Non capita di rado di ricevere cartelle di pagamento, da parte di Equitalia, per multe stradali notificate e mai pagate dall’automobilista. Così come potrebbe accadere che l’interessato paghi la contravvenzione con qualche giorno o ora di ritardo rispetto al termine – perentorio – previsto dalla legge di 60 giorni dalla notifica della stessa. In tali casi, la sanzione per il ritardo viene “iscritta a ruolo”: in termini più pratici, l’amministrazione delega Equitalia alla riscossione della somma, procedimento che inizia con la notifica della cartella di pagamento al cittadino.

Ma a fare ritardo non è sempre il multato: capita anche a Equitalia di agire senza rispettare i termini di legge, termini che sono inderogabilmente di cinque anni. Il che rende nulla la cartella di pagamento e libera definitivamente l’automobilista dall’obbligo di pagare. È quanto ricorda una sentenza del giudice di Pace di Taranto [1].

La vicenda

Un automobilista pagava una multa con un giorno di ritardo, non avvedendosi del fatto che il sessantesimo giorno dalla notifica dell’atto da parte della polizia era già scaduto da 24 ore. Dopo però nove anni si faceva viva Equitalia, notificando la cartella di pagamento per riscuotere le sanzioni per il pagamento ritardato. Infatti la legge stabilisce che il conducente, il quale versi l’importo della multa entro 60 giorni, può ottenere il beneficio del pagamento in misura ridotta. Scaduto il termine, invece, è dovuto l’importo “pieno”.

 

La prescrizione delle multe e delle sanzioni

La sentenza in commento ricorda che la prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per multe e per sanzioni ad essere legate è sempre di cinque anni.

Pertanto, la cartella di pagamento è nulla se notificata dopo cinque anni dalla multa, sia nel caso in cui l’intera contravvenzione non sia stata pagata, sia nel caso in cui sia stata pagata con ritardo.

A titolo di completezza ricordiamo che è anche di cinque anni la prescrizione della successiva cartella di pagamento notificata da Equitalia. Pertanto, una volta consegnata all’automobilista la cartella, se nei cinque anni successivi non viene posto alcun atto (la notifica di un sollecito di pagamento o l’avvio di un pignoramento) la cartella “scade”, ossia si prescrive. L’amministrazione, a riguardo, continua a sostenere la tesi della prescrizione decennale delle cartelle, tesi però non condivisa dai tribunali: si prescrive infatti in 10 anni solo l’eventuale sentenza emessa a seguito di ricorso presentato dal contribuente e rigettato dal giudice.

 

[1]G.d.P. Taranto, dott. Martino Giacovelli, sent. n. 2158/2015 del 30.06.2015.

 

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Ultimo aggiornamento ( domenica 10 luglio 2016 )
 
Equitalia: ora c’è il risarcimento dei danni da stress PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
martedì 21 giugno 2016

È possibile chiedere il risarcimento per danni morali da stress? Secondo la Cassazione sì, anche se a riguardo la giurisprudenza è molto restrittiva.

C’è poco da fare: confrontarsi con cartelle esattoriali, ermo auto, ipoteca o pignoramento prova stress e ansia. È possibile chiedere il risarcimento per danni morali da stress? Secondo la Cassazione sì, anche se a riguardo la giurisprudenza è molto restrittiva.

DANNO GRAVE RICONOSCIUTO - Una delle possibilità per riuscire a ottenere un risarcimento da Equitalia, richiesto per un suo comportamento illegittimo, è quella di dimostrare di aver subito un danno grave. È il caso, ad esempio, del contribuente cui venga imposto il fermo auto illegittimo e, per questo venga licenziato o perda le commesse di agente di commercio o dell’ipoteca su una casa che blocca le trattative di vendita.

RESPONSABILITA’ PROCESSUALE AGGRAVATA – La seconda possibilità per ottenere il risarcimento dei danni è mostrare al giudice la responsabilità processuale di Equitalia che ha agito o ha resistito in causa pur avendo torto, per malafede o colpa grave. Essendo difficile dimostrare la malafede per un ente pubblico, ci si può precostituire la prova della colpa grave. Prima di agire in giudizio, e oltre alla normale mediazione tributaria, è consigliabile presentare un ricorso in autotutela all’Agente della riscossione e all’ente titolare del credito, in cui si evidenziano le ragioni dell’illegittimità dell’atto.

IL DISAGIO NON È RIMBORSABILE – Secondo la Cassazione, Equitalia non è invece tenuta a risarcire lo stress subito dal contribuente per l’atto illegittimo. Per i giudici supremi non sono risarcibili i danni consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, poiché costituiscono conseguenze non gravi e insuscettibili di essere monetizzate perché di lieve entità.

 

 

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Rimborso IVA sulla tassa rifiuti: ecco perchè e come fare PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
martedì 21 giugno 2016

Illegittima la tassa sui rifiuti: i primi cittadini potranno ottenere il rimborso sulla TIA

 

Per i cittadini di Rozzano (Milano) si potrebbero preparare rimborsi interessanti: l’IVA versata nella TIA, la Tariffa di Igiene Ambientale – è di fatto illegittima, dunque andrà rimborsata. Questo quanto ulteriormente ribadito dalla Cassazione in una sentenza di qualche mese fa. Ecco il dettaglio.

 

Illegittima la tassa sui rifiuti: il nuovo caso

La Cassazione ha stabilito che è illegittima l’Iva sulla tassa sui rifiuti [1]. Essa andrà dunque restituita.

Le ragioni dell’inapplicabilità dell’Imposta sul Valore aggiunto sulla Tariffa di Igiene Ambientale è che quest’ultima è da considerarsi un pagamento di natura tributaria. Proprio per questa ragione non è in alcun modo assoggettabile ad IVA. L’IVA difatti mira a “colpire” una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni e servizi a fronte di un corrispettivo. Questo non è il caso della TIA che invece ha natura tributaria e non è nella sostanza un pagamento direttamente legato ad un servizio reso.

 

IVA indebita per la tassa sui rifiuti: i precedenti

Ma si tratta solo dell’ultimo pronunciamento in ordine di tempo per una questione che è stata da tempo risolta in questo senso da altre sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale.

L’applicazione dell’Iva sulla TIA è stata dichiarata illegittima difatti già nel 2009  [2] della Corte Costituzionale: in base a questa stessa sentenza, infatti, la TIA viene riconosciuta in tutto e per tutto come una tassa, il che la rende appunto non soggetta all’IVA. L’illegittimità dell”Iva sulla TIA è stata inoltre confermata in modo definitivo dalla Corte di Cassazione nel 2012 [3].

 

Come sapere se è stata pagata l’IVA sui rifiuti

Prima di tutto bisogna controllare che nel proprio comune sia stata adottata negli ultimi 10 anni la TIA al posto della TARSU o TARI (quando l’imposta è definita TASI è difficile che si configuri la fattispecie di doppia imposizione, perchè la natura del pagamento è chiara). Nel caso fosse così è necessario accertarsi di avere tutte le ricevute di pagamento relative alla TIA, facendo attenzione che, nelle relative fatture, sia stata effettivamente addebitata l’IVA.

Per richiedere il rimborso è sufficiente recarsi presso uno sportello di un’associazione consumatori, la fattispecie è nota da tempo e presso le maggiori associazioni sono disponibili moduli di richiesta di rimborso che aiuteranno il contribuente ad ottenere quanto indebitamente richiesto.

 

 [1] Cass. Sent. n. 5078/2016

[2] Corte Cost. Sent. n. 238 del 24/07/2009

[3] Cass. Sent. n. 3756 dell’8/03/2012

 

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Debiti: piano del consumatore rigettato, alternativa pronta PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
lunedì 20 giugno 2016

Sovraindebitamento, legge n. 3 del 2012: se non c’è l’omologa del giudice sul piano del consumatore si può chiedere il consenso ai creditori.

 

Crisi da sovraindebitamento: se il giudice nega l’omologa sul “piano del consumatore” (la procedura che consente il taglio dei debiti con il semplice “nulla osta” del tribunale), perché non lo ritiene meritevole o fattibile, l’indebitato può sempre convertire l’istanza nella procedura del cosiddetto “accordo con i creditori” e ottenere così una seconda chance con il consenso – questa volta – del 60% dei creditori. È quanto chiarito dal Tribunale di Cagliari con una recente ordinanza [1]. Procediamo con ordine.

 

La legge salvasuicidi

La legge sul sovraindebitamento del consumatore, anche detta “salvasuicidi”, consente a chi abbia contratto debiti, non per propria colpa, cui non è in grado di far fronte sulla base del proprio reddito e patrimonio attuale, di ottenere una decurtazione a patto, però, che nei cinque anni precedenti non abbia già fatto ricorso alla medesima procedura. Tale procedura si applica solo a coloro che non rientrano nei limiti di fallibilità (quindi consumatori, piccoli imprenditori, artigiani, agricoltori).

Il taglio del debito si può ottenere tramite tre diverse procedure:

·         piano del consumatore

·         accordo con i creditori

·         liquidazione dei beni.

I requisiti di ammissione sono comuni ma solo per la proposta di piano del consumatore è prevista anche la verifica della meritevolezza.

 

Cosa si intende con “piano del consumatore”

Con il piano del consumatore, l’interessato si rivolge al giudice e, dopo aver presentato un apposito programma di rientro nelle morosità, chiede al giudice la decurtazione di una percentuale del debito: percentuale che può arrivare anche al 70-80% nei casi più gravi. La si può presentare anche se il creditore è uno solo (ad es., Equitalia o la banca). Il giudice valuta la fattibilità del piano e, soprattutto, lameritevolezza del debitore (il quale non deve aver determinato colpevolmente il proprio sovraindebitamento, assumendo oneri con la consapevolezza di non poterli adempiere). Se sussistono tali presupposti il magistrato omologa il piano.

In particolare, il giudice può omologare il piano del consumatore solo se «esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali».

Questa opzione è possibile solo quando i debiti non si riferiscono ad attività commerciale (secondo una recente interpretazione è possibile anche in presenza di debiti commerciali, purché in minima parte).

 

Cosa si intende per “accordo con i creditori”

A differenza della precedente opzione, l’accordo con i creditori non richiede il nulla osta del giudice – a cui, comunque, l’istanza va sempre presentata – ma il voto favorevole del 60% dei creditori. Qualora vi sia l’intesa, il giudice non può rigettare l’omologa presentata dal consumatore.

L’accordo coi creditori può essere utilizzato anche per debiti derivanti da attività economiche dell’interessato.

 

Se il piano del consumatore non viene omologato

Il provvedimento in commento chiarisce un aspetto molto importante che consente una doppia chance di uscita dal debito per i cittadini: l’istanza presentata dal sovraindebitato, mediante la procedura relativa al piano del consumatore, può contenere la richiesta al giudice, in caso di rigetto di omologa, di conversione della stessa nella proposta per l’accordo con i creditori.

Così, se il giudice ritiene di respingere il piano del consumatore perché – ad esempio – il debitore ha determinato colpevolmente il proprio stato di dissesto o comunque lo ha aggravato per aver contratto debiti senza la prospettiva di poterli adempiere, se sussiste il consenso del 60% dei creditori l’istanza può essere approvata ai sensi della diversa procedura del piano del consumatore. Insomma, il debitore si salva in “zona cesarini”.

 

[1] Trib. Cagliari, ord. 11.05.2016.

 

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