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Cartella di Equitalia: come si contesta PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
mercoledì 08 giugno 2016

Come e quando fare opposizione contro la cartella di pagamento notificata da Equitalia: pagare o presentare ricorso al giudice?

Ricevere la notifica di un atto del fisco non fa piacere a nessuno: comprensibile quindi che, dopo la visita del postino, il contribuente si chieda subito come contestare la cartella di pagamento di Equitalia.

In verità, non esiste una risposta valida per qualsiasi tipo di situazione, così come non è detto che vi sia sempre una soluzione favorevole al debitore: non tutti i vizi di carattere “formale”, cui spesso si ricorre per evitare di pagare quando l’imposta è dovuta, possono garantire l’accoglimento del ricorso al giudice. Così è sempre bene valutare con il massimo scrupolo, e con il consiglio di un professionista esperto del ramo, se è opportuno procedere all’impugnazione o meno. Con la consapevolezza che oggi è più facile, per chi perde, essere condannato al pagamento delle spese processuali, anche se si agisce per piccoli importi.

Ecco quindi questa breve guida per analizzare gli aspetti più delicati delle cartelle di pagamento e l’eventuale possibilità di contestazione.

La contestazione non può mai entrare nel merito delle somme

Chi intende contestare una cartella di pagamento non può farlo per questioni attinenti al merito dell’imposta o della sanzione come, ad esempio, errori di calcolo o di individuazione del soggetto obbligato. Questo perché la cartella esattoriale viene emessa quando già il contribuente ha ricevuto, diverso tempo prima, l’atto dell’ente titolare del credito con cui gli viene intimato il pagamento dell’importo (per esempio, la multa, un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, una diffida di pagamento della Regione per il bollo auto, ecc.). Per cui è contro quest’ultimo atto che il debitore deve muovere tutte le sue censure, senza poter attendere l’arrivo di Equitalia. Se così fosse, egli usufruirebbe di una estensione dei termini per l’opposizione non prevista dalla legge.

Pertanto, la contestazione contro la cartella di pagamento può avvenire solo per “vizi propri” della cartella stessa, ossia errori commessi da Equitalia. Quelli invece commessi a monte dall’ente titolare del credito si sono sanati per decorso dei termini utili all’impugnazione.

Quali sono i “vizi propri” della cartella di pagamento?

Ricollegandoci a quanto appena detto, ecco alcuni esempi di “vizi propri” della cartella esattoriale cui spesso ci si aggrappa per chiederne l’annullamento:

·         il difetto di notifica (ad esempio, notifica della cartella senza che il contribuente abbia mai ricevuto l’atto prodromico dell’ente titolare del credito; notifica della cartella ad un soggetto diverso dal legittimato; mancata comunicazione del deposito del plico alla casa comunale; ecc.);

·         la prescrizione o la decadenza del diritto alla riscossione delle somme;

·         la mancata indicazione del responsabile del procedimento, necessaria in ogni cartella di pagamento;

·         l’inesatta o incompleta indicazione delle modalità e termini per fare ricorso al giudice;

·         la mancanza di pagine, all’interno del plico di Equitalia, che dovevano comporre la cartella di pagamento e la spiegazione delle ragioni per cui essa è stata inviata;

·         l’insufficiente motivazione della cartella (motivazione che può essere anche fornita con il semplice richiamo a un precedente atto già notificato al contribuente);

·         la carente spiegazione delle modalità di calcolo degli interessi, ecc.

La notifica della cartella di pagamento

Uno degli aspetti più delicati delle cartelle di pagamento è la notifica. L’esperienza insegna come tale procedura dia luogo a numerosi vizi che consentono l’impugnazione e annullamento della cartella.

Ricordiamo che la notifica può essere fatta:

·         a mani del contribuente o, in sua assenza, a un familiare convivente (purché maggiore di 14 anni e non incapace) o a persona addetta alla casa o al portiere dello stabile. Alla notifica provvede il messo notificatore del Comune. Se il contribuente o nessuno di questi soggetti è presente in casa, il messo deposita il plico presso la Casa Comunale e ne dà notizia al contribuente, invitandolo a ritirarlo.

 

Un errore comunemente posto, in questi casi, è che la relata di notifica, che il messo deve necessariamente redigere prima del deposito della cartella in Comune, nel dare atto dell’assenza del contribuente, dimentica di specificare che sono state fatte “ulteriori ricerche all’interno del Comune di residenza” al fine di individuare il destinatario. Senza tale specificazione, la notifica è nulla: infatti, secondo la giurisprudenza della Cassazione, è illegittimo il deposito presso la Casa Comunale se prima il messo non ha tentato la notifica del plico in altri luoghi diversi dalla residenza, effettuando le dovute attività per ricercare il contribuente.

·         Con raccomandata a.r. attraverso il comune postino di Poste Italiane.

 

La giurisprudenza ha ritenuto che le notifiche possono essere fatte solo per il tramite del servizio di Poste Italiane e non mediante poste private (salvo che a quest’ultime non si sia affidato lo stesso postino, delegando la consegna).

La Cassazione, contrariamente a qualche giudice di merito, ritiene che la notifica per raccomandata a.r. sia legittima e non impugnabile.

·         Con posta elettronica certificata: si tratta di una modalità entrata in vigore dal 1° giugno 2016 ed obbligatoria per autonomi, professionisti e aziende.

Il contenuto della cartella di pagamento

In passato la cartella veniva spesso impugnata perché – così sostenevano i ricorrenti – all’interno della busta spedita da Equitalia non vi erano tutti i fogli o vi era un contenuto di tipo diverso. Tale contestazione si fondava su un orientamento della giurisprudenza che addossava la prova contraria sul mittente. Oggi la Cassazione ha affermato il principio contrario: chi sostiene che il plico abbia un contenuto differente da quello dichiarato dal mittente deve dimostrarlo: un onere eccessivamente complesso che ha reso assai difficoltosa tale tipo di contestazione.

La cartella però potrebbe essere carente dell’indicazione del responsabile del procedimento, il che la renderebbe insanabilmente nulla.

Secondo alcuni giudici, poi, è nulla la cartella che non indica i criteri di calcolo degli interessi, i quali devono essere specificati per ogni singola annualità, in modo tale che il contribuente possa risalire al tasso applicato e verificare la correttezza dei conteggi.

La cartella deve essere poi motivata, ossia deve indicare le ragioni per le quali è stata emessa. Se essa si appoggia su un precedente atto (per esempio una multa) a sua volta già notificato al contribuente, la motivazione si esaurisce nell’indicazione degli estremi di tale atto e della data di notifica.

Se la cartella fa riferimento a un atto precedente e quest’ultimo non è mai stato notificato (si pensi a una intimazione di pagamento per imposte evase), la cartella stessa è nulla e può essere impugnata.

La prescrizione della cartella di Equitalia

La cartella di pagamento “scade” (o meglio detto “si prescrive”) dopo un certo periodo di tempo, per cui tutti gli atti successivi (come pignoramenti, avvisi di ipoteche o fermi, solleciti di pagamento) sono nulli.

Entro quando fare ricorso contro la cartella di Equitalia?

Un aspetto da non sottovalutare sono i termini entro cui fare ricorso contro la cartella di pagamento. Questi sono sempre di

·         60 giorni se oggetto della cartella sono tributi;

·         40 giorni se oggetto della cartella sono contributi dovuti all’Inps o all’Inail;

·         30 giorni se oggetto della cartella sono multe.

 

Se è in atto un pignoramento e il contribuente intende opporsi ai vizi formali degli atti del pignoramento, il termine si riduce a 20 giorni.

Quale giudice è competente per il ricorso?

A seconda del contenuto della cartella di pagamento è competente un giudice differente. In generale:

·         per tutti i tributi e imposte è competente la Commissione Tributaria Provinciale;

·         per le multe il giudice di pace;

·         per i contributi Inps e Inail il tribunale ordinario, sezione lavoro.

Se non vuoi fare causa c’è l’autotutela

Il ricorso al giudice non è l’unico rimedio – sebbene quello più efficace e sicuro – per ottenere l’annullamento della cartella di pagamento. La legge prevede la possibilità di inoltrare, in carta semplice o con Posta elettronica certificata, un ricorso in autotutela per chiedere l’annullamento dell’atto viziato, anche se sono scaduti i termini per il ricorso al giudice. L’eventuale silenzio dell’amministrazione si considera rifiuto.

Purtroppo questo sistema genera poche volte risultati soddisfacenti, anche in presenza di vizi evidenti e costantemente riconosciuti dai giudici come invalidanti. Ecco perché, anche in caso di presentazione del ricorso in autotutela, è sempre bene non far mai scadere i termini per il ricorso al giudice e riservarsi la possibilità dell’impugnazione tradizionale. Che certo è più costosa (implicando l’obbligo di pagamento del contributo unificato e dell’onorario al difensore), ma anche più sicura e imparziale.

 

 

 

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Opposizione a decreto ingiuntivo: la chiamata del terzo PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
lunedì 06 giugno 2016

Quando va fatta la chiamata in causa del terzo nel caso di opposizione all’ingiunzione di pagamento?

 

In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, la chiamata in causa del terzo avanzata dall’opponente non va fatta né autonomamente (con la citazione diretta già contenuta nell’atto di opposizione), né attendendo la prima udienza: al contrario, la richiesta di autorizzazione va presentata al giudice con lo stesso atto di opposizione, e quindi entro i 40 giorni dalla notifica del decreto. Diversamente la chiamata in causa decade d’ufficio per nullità insanabile. È quanto chiarito dalla Corte di Appello di Palermo con una recente sentenza [1].

Secondo la Corte, l’opponente a decreto ingiuntivo che intende chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell’atto di opposizione, di essere autorizzato a farlo. In caso contrario scatta la decadenza che può essere rilevata d’ufficio e che non può essere sanata neanche dalla costituzione del terzo chiamato.

In sintesi, affinché la chiamata in causa del terzo sia valida, essa non può essere fatta autonomamente, ma è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice: autorizzazione, però, che va chiesta con lo stesso atto di opposizione.

La conseguenza non è la nullità dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ma solo della chiamata in causa del terzo.

 

[1] C. App. Palermo sent. n. 479/2016.

 

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Equitalia: chi rateizza interrompe la prescrizione PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
lunedì 06 giugno 2016

Domanda di dilazione del pagamento delle cartelle di Equitalia: il riconoscimento del debito non sempre interrompe la prescrizione.

 

Cartelle di pagamento: la domanda di dilazione del debito presentata a Equitalia (cosiddetta rateazione) interrompe la prescrizione; per cui, se hai qualche cartella esattoriale la cui prescrizione si sta per compiere, potrebbe essere più conveniente attendere di far scadere detto termine.

Ma come deve comportarsi chi, invece, intende chiedere la dilazione solo per evitare problemi più gravi come, ad esempio, un pignoramento? In questo caso, la giurisprudenza ha sempre riconosciuto la possibilità di una dichiarazione espressa, da parte del debitore che paga, in cui manifesta espressamente l’intenzione di non riconoscere il debito e di riservarsi la possibilità di ricorrere comunque al giudice. Ma procediamo con ordine.

Secondo alcuni giudici, tra cui la Corte di Appello di Roma [1], la domanda di rateazione di un debito con una pubblica amministrazione costituisce un tacito atto di riconoscimento del credito altrui. Opera, pertanto, la norma del codice civile [2] secondo cui il riconoscimento del diritto del creditore, fatto dal debitore, interrompe la prescrizione. Tale riconoscimento può avvenire sia con una dichiarazione espressa (si pensi a una lettera inviata al creditore in cui ci si confessi debitore di un dato importo) che con un comportamento concludente come, ad esempio, il pagamento dell’intero importo dovuto o la richiesta di dilazione del debito.

Del resto, se la richiesta di rateizzo non interrompesse la prescrizione si avrebbero risultati iniqui. Per comprenderlo, dobbiamo ricorrere a un esempio. Si pensi al caso di un contribuente che, residuando ancora tre anni perché si compia la prescrizione dei propri debiti con Equitalia, presenti un’istanza di rateazione al solo fine di prendere tempo. Si sa, infatti, che, a rateazione accordata, Equitalia ha le mani legate: non può infatti compiere alcun atto esecutivo, né può notificare nuove richieste di pagamento; in particolare non può avviare un pignoramento o notificare una intimazione di pagamento. Se così facesse, detti atti sarebbero impugnabili e annullabili con un ricorso al giudice. Insomma, l’agente della riscossione è, a rateazione in corso, impossibilitato a inviare atti interruttivi della prescrizione ed, essendo obbligato per legge a concedere la dilazione, sarebbe in un certo senso partecipe del gioco truffaldino del contribuente.

Dall’altro lato, però, è anche vero che, molto spesso, si assiste a situazioni in cui il contribuente chiede la rateazione non già perché intende riconoscere il debito, ma perché vuol momentaneamente evitare conseguenze per lui peggiori come il fermo amministrativo dell’auto o il pignoramento dello stipendio che lo potrebbe mettere in cattiva luce con l’azione dove lavora. In tal caso, dunque, l’unico modo per bloccare eventuali azioni di Equitalia è proprio la richiesta di rateazione e, quindi, iniziare a pagare. Salvo poi, in un momento successivo, procedere al ricorso.

La CTP di Caltanissetta [3], a riguardo, ha chiarito che la richiesta di rateazione, in ambito tributario, non può costituire acquiescenza del debito in quanto essa potrebbe essere dettata dall’esigenza di evitare effetti pregiudizievoli come il blocco del conto corrente, il pignoramento della pensione o l’ipoteca sulla casa.

L’unica soluzione potrebbe essere quella di chiarire, con un atto scritto indirizzato a Equitalia e accompagnato alla stessa richiesta di rateazione, che alla domanda di dilazione di pagamento non va attribuito il significato di un riconoscimento del proprio debito, in quanto rivolta soltanto a evitare l’esecuzione forzata. Insomma, il contribuente si riserverebbe, in modo espresso, il diritto di agire in via giudiziale, togliendo all’istanza di rateazione il significato di un comportamento concludente.

 

[1] C. App. Roma, sent. n. 6602/2014.

[2] Art. 2944 cod. civ.

[3] CTP Caltanissetta, sent. n. 1072/2014.

 

 

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Equitalia: come verifico se la cartella di pagamento è prescritta? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
domenica 05 giugno 2016


Le cartelle di Equitalia non scadono tutte nello stesso termine: la prescrizione varia a seconda del tributo e, una volta verificatasi, il pignoramento non è più possibile.

 

Tutte le cartelle di pagamento notificate da Equitalia (o da qualsiasi altro agente della riscossione) hanno una data di scadenza: è la cosiddetta prescrizione che, una volta compiutasi, non consente più di procedere al pignoramento, al fermo dell’auto o all’ipoteca sulla casa. In verità, capita spesso che la stessa Equitalia continui a riportare, all’interno dell’estratto di ruolo relativo alla posizione di un contribuente, uno o più debiti ormai prescritti, non curandosi del fatto che essi non possono più essere richiesti in via esecutiva. E, purtroppo, la richiesta di cancellazione di tali debiti prescritti, avanzata in via bonaria dall’interessato, viene quasi sempre ignorata. Insomma, se non c’è un ordine del giudice, Equitalia non cancella un bel niente. È vero, si tratta di un abuso che dimostra la scarsa collaborazione tra fisco e cittadino, ma ci sono anche buone notizie: non sempre Equitalia avanza un pignoramento sulla base di cartelle scadute ed esse rimangono solo virtualmente, nell’elenco dei debiti, ma senza mai produrre effetti.

 

Come ci si accorge se una cartella di pagamento è prescritta?

Il termine di prescrizione non è uguale per tutte le cartelle di pagamento, ma varia a seconda della causale della cartella, ossia del tributo, della sanzione, ecc. Quindi, la prima cosa che bisogna fare è leggere lo spazio della cartella di pagamento dedicato alla descrizione degli importi richiesti. Su tutte le cartelle è presente una sorta di tabella, una scheda riepilogativa con l’indicazione delle ragioni che hanno portato all’emissione della cartella stessa: mancato pagamento di una multa stradale, di una tassa, di una sanzione del Prefetto, ecc. Per ognuno poi di questi importi bisogna verificare il termine entro cui si prescrive secondo la tabella che riportiamo qui in fondo.

 

Che fare se una cartella di pagamento è prescritta?

Per cancellare la cartella prescritta non si può fare un ricorso al giudice, poiché il termine per presentare opposizione contro un atto di Equitalia è, di norma, 60 giorni (30 per le multe, 40 per i contributi Inps e Inail). Questo significa che se la cartella è stata notificata diversi anni prima, non è più impugnabile. Il contribuente allora dovrà attendere la successiva mossa di Equitalia (ad esempio un’intimazione di pagamento, un preavviso di fermo o di ipoteca, un pignoramento) e impugnare quest’ultimo. Questo è l’unico modo utile per ottenere la cancellazione, anche dall’estratto di ruolo, del debito. Come abbiamo detto, infatti, le richieste in via di autotutela non sortiscono quasi mai effetti.

 

IRPEF

Decadenza

Per le dichiarazioni dei redditi presentate fino al 2015 (periodi precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016):

        in caso di dichiarazione infedele l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 4° anno successivo alla presentazione;

        in caso di dichiarazione omessa (o nulla), entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

Per le dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 2016:

         in caso di dichiarazione infedele, l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 5° anno successivo alla presentazione;

         in caso di dichiarazione omessa (o nulla), entro il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata [1].

 

Prescrizione

Dopo l’accertamento fiscale, la cartella di Equitalia deve intervenire entro 10 anni.

Dopo la notifica della cartella di Equitalia, il pignoramento deve avvenire non prima di 60 giorni ed entro massimo 10 anni. Dopo 10 anni, la cartella di Equitalia si prescrive. Tuttavia, un recente, ma minoritario indirizzo, ritiene che l’Irpef (in quanto imposta con scadenza annuale) si prescriva dopo 5 anni e non 10.

Se Equitalia non svolge alcuna azione dopo 1 anno dalla notifica della cartella, per avviare il pignoramento deve prima notificare l’intimazione di pagamento (invitando il contribuente a pagare entro 5 giorni), altrimenti il pignoramento è illegittimo. Tale regola non vale però per il fermo e l’ipoteca (perché sono misure cautelari e non esecutive), ma per esse deve essere notificato, almeno 30 giorni prima, il preavviso.

 

IVA

Decadenza

Per le dichiarazioni dei redditi presentate fino al 2015 (periodi precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016):

        in caso di dichiarazione infedele l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 4° anno successivo alla presentazione;

        in caso di dichiarazione omessa (o nulla), entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

Per le dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 2016:

         in caso di dichiarazione infedele, l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 5° anno successivo alla presentazione;

– in caso di dichiarazione omessa, entro il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata;

         in caso di dichiarazione nulla entro il 31 dicembre dell’8° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

 

Prescrizione

Dopo l’accertamento fiscale, la cartella di Equitalia deve intervenire entro 10 anni.

Dopo la notifica della cartella di Equitalia, il pignoramento deve avvenire non prima di 60 giorni ed entro massimo 10 anni. Dopo 10 anni, la cartella di Equitalia si prescrive. Tuttavia, un recente, ma minoritario indirizzo, ritiene che l’Irpef (in quanto imposta con scadenza annuale) si prescriva dopo 5 anni e non 10.

Se Equitalia non svolge alcuna azione dopo 1 anno dalla notifica della cartella, per avviare il pignoramento deve prima notificare l’intimazione di pagamento (invitando il contribuente a pagare entro 5 giorni), altrimenti il pignoramento è illegittimo. Tale regola non vale però per il fermo e l’ipoteca (perché sono misure cautelari e non esecutive), ma per esse deve essere notificato, almeno 30 giorni prima, il preavviso.

 

IRAP

Decadenza

Per le dichiarazioni dei redditi presentate fino al 2015 (periodi precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016):

        in caso di dichiarazione infedele l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 4° anno successivo alla presentazione;

        in caso di dichiarazione omessa (o nulla), entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

Per le dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 2016:

         in caso di dichiarazione infedele, l’accertamento fiscale deve intervenire entro il 31 dicembre del 5° anno successivo alla presentazione;

        in caso di dichiarazione omessa o nulla, entro il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

 

Prescrizione

Dopo l’accertamento fiscale, la cartella di Equitalia deve intervenire entro 10 anni.

Dopo la notifica della cartella di Equitalia, il pignoramento deve avvenire non prima di 60 giorni ed entro massimo 10 anni. Dopo 10 anni, la cartella di Equitalia si prescrive. Tuttavia, un recente, ma minoritario indirizzo, ritiene che l’Irpef (in quanto imposta con scadenza annuale) si prescriva dopo 5 anni e non 10.

Se Equitalia non svolge alcuna azione dopo 1 anno dalla notifica della cartella, per avviare il pignoramento deve prima notificare l’intimazione di pagamento (invitando il contribuente a pagare entro 5 giorni), altrimenti il pignoramento è illegittimo. Tale regola non vale però per il fermo e l’ipoteca (perché sono misure cautelari e non esecutive), ma per esse deve essere notificato, almeno 30 giorni prima, il preavviso.

 

IMU, TASI, TOSAP, COSAP, TARSU, TARI e altri tributi locali

Decadenza

A partire dal 2007 gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.

Per gli obblighi di pagamento scaduti prima del 2007 valgono i seguenti termini di decadenza:

– in caso di denuncia infedele o incompleta, il Comune deve notificare un avviso di accertamento in rettifica entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia;

         in caso di omessa denuncia, il Comune deve notificare l’avviso di accertamento d’ufficio entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata.

 

Prescrizione

La cartella di pagamento cade in prescrizione dopo 5 anni.

 

MULTE, CONTRAVVENZIONI E SANZIONI

Decadenza e prescrizione

La cartella deve essere notificata entro 5 anni dal verbale di constatazione dell’infrazione, ma il Comune la deve consegnare a Equitalia entro 2 anni.

La cartella scade dopo 5 anni dalla notifica.

 

CONTRIBUTI INPS E INAIL

Decadenza

L’INPS deve rendere esecutivi i ruoli entro:

         il 31 dicembre dell’anno successivo al termine fissato per il versamento, per i contributi o premi non versati dal debitore; in caso di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre dalla data di conoscenza da parte dell’ente;

         il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici;

         il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto definitivo per quelli sottoposti a gravame giudiziario.

 

Prescrizione

La cartella di Equitalia si prescrive dopo 5 anni.

 

CANON RAI

La prescrizione della cartella di pagamento è di 10 anni.

 

BOLLO AUTO

Decadenza

Il primo avviso al contribuente deve essere inviato entro il 31 dicembre del 3° anno successivo a quello in cui è dovuto il pagamento (quindi, per il bollo dovuto nel 2015, il termine dei tre anni inizia a decorrere da gennaio 2016 e scade il 31 dicembre 2018).

 

Prescrizione

La cartella di Equitalia si prescrive dopo il 31 dicembre del 3° anno successivo a quello in cui è dovuto il pagamento (quindi, per il bollo dovuto nel 2015, il termine dei tre anni inizia a decorrere da gennaio 2016 e scade il 31 dicembre 2018).

 

CAMERA DI COMMERCIO

La cartella di pagamento scade dopo 10 anni.

 

 

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Caparra confirmatoria, caparra penitenziale, penale: la differenza PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
sabato 04 giugno 2016

Cos’è la caparra confirmatoria e che differenze ci sono con la caparra penitenziale e con la penale?

 

Quando si definisce un contratto, tra le clausole alle quali l’acquirente e il venditore dovrebbero prestare attenzione ci sono quelle dedicate all’esborso di una cifra a tutela dell’inadempimento o di tutela per il recesso.

Non tutti sanno che esiste una differenza tra la caparra confirmatoria e l’acconto, ad esempio, e si tratta di una differenza rilevante, che vi invitiamo però ad approfondire nel nostro articolo dedicato (leggi anche Acconto o caparra confirmatoria: qual è la differenza?). Oggi parleremo invece delle differenze che sussistono tra la caparra confirmatoria, la caparra penitenziale e la penale.

 

Caparra Confirmatoria

La caparra confirmatoria [1] consiste in una somma di danaro o ad una serie di “cose fungibili” che al momento della conclusione di un contratto viene pagata dal compratore al venditore. Nel caso di conferma dell’acquisto l’acquirente pagherà al venditore il resto del prezzo pattuito, mentre qualora si verifichi un inadempimento si possono presentare 2 ipotesi:

·         qualora l’inadempimento dovesse verificarsi da parte del compratore, allora il venditore può trattenere la caparra;

·         qualora, invece, l’inadempimento si dovesse verificare ad opera del venditore, allora l’acquirente ha diritto ad avere indietro il doppio della cifra corrisposta a titolo di caparra confirmatoria.

Si badi che per entrambi questi casi non si prevede che si debba provare il danno subìto, la caparra in caso di inadempimento è cioè comunque dovuta. Qualora una delle due Parti ritenesse di aver subìto danni superiori all’ammontare della caparra, allora in quel caso dovrà dimostrare quali siano tali danni e richiederne il pagamento in un procedimento specifico [2].

La parte non inadempiente può comunque decidere di non esercitare il diritto di recesso, optando piuttosto per l’esecuzione o la risoluzione del contratto.  

 

Caparra Penitenziale

La caparra penitenziale [3] presenta una differenza rispetto alla caparra confirmatoria. In questo caso difatti la somma che viene corrisposta dal compratore al venditore non rappresenta una somma a cautela dell’inadempimento, ma costituisce un corrispettivo per l’attribuzione ad una delle due Parti della facoltà di recesso dal rapporto anche in maniera unilaterale, anche in assenza cioè dell’accordo dell’altra Parte [4]. Nella pratica la caparra penitenziale si utilizza quando le due parti vogliono concordare sin da subito sulla possibilità di poter recedere dal contratto, sapendo sin dal principio quanto costerà questa scelta.

Tornando all’esempio del compratore e del venditore, se il contratto prevede una caparra penitenziale il compratore prevede che versando una certa somma (a titolo appunto di caparra penitenziale) possa recedere unilateralmente dal contratto entro una certa data. Si presentano quindi 3 condizioni:

·         Se l’acquirente non recede il prezzo della caparra sarà decurtato dal prezzo di acquisto;

·         Se l’acquirente recede perderà la caparra penitenziale;

·         Se il venditore recede allora l’acquirente potrà richiedere il doppio della caparra versata.

Come si vede, da un punto di vista operativo, non vi sono grandi differenze rispetto alla caparra confirmatoria, la vera distinzione difatti sta negli effetti che l’istituto genera: in caso di caparra penitenziale, la parte adempiente, difatti, non ha facoltà di richiedere né il maggior danno, né l’esecuzione del contratto.

Si distingue inoltre dalla clausola penale, perché prevede, a differenza di quest’ultima, la corresponsione di una somma (o di cose fungibili) in precedenza.

 

La clausola penale

La clausola penale o semplicemente la penale [5] può sussistere anche in presenza di un acconto o di una caparra confirmatoria e si sostanzia in una somma che una Parte è obbligata a pagare all’altra nel caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento (si pensi ad esempio ad una consegna ritardata, o ad un servizio telefonico reso nella maniera errata e difforme dalla carta dei servizi). La parte creditrice non deve provare il danno, ma deve dimostrare la sussistenza di un inadempimento da parte del debitore.

Come per la caparra penitenziale la presenza di una clausola penale generalmente esclude la possibilità di un rimborso maggiore, a meno che tale possibilità non venga esplicitamente prevista nel contratto. In quest’ultimo caso il creditore non dovrà dimostrare solo l’inadempimento ma anche il danno causato.

 

 [1] art. 1385 cod.civ.

[2] art. 1223 cod. civ.

[3] art. 1386 cod.civ.

[4] Cass. Sent. n. 6577/1988

[5] art. 1382 cod.civ.

 

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