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Crisi da sovraindebitamento e piano del consumatore: la meritevolezza del debitore PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
giovedì 02 giugno 2016

Il confronto tra due provvedimenti di omologa di Piano del Consumatore, consente di capire il concetto di “meritevolezza” del debitore e di valutarne l’importanza.

 

In tutte le procedure previste dalla Legge 3/2012 per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, l’elemento principale di valutazione delle proposte è l’ottenimento della migliore soddisfazione possibile per i creditori. Non a caso, però, questa Legge è stata chiamata anche “Legge salva suicidi”.

E’ evidente, infatti, che la Legge 3/2012 ha anche lo scopo di alleviare le condizioni di vita dei debitori e di consentire loro di armonizzare al meglio i propri flussi di entrata e di uscita.

In questa ottica, soprattutto per il Piano del Consumatore, assume importanza cruciale la valutazione della “meritevolezza” del debitore.

La Legge prevede, infatti, che il giudice, nella sua decisione, debba tenere conto:

1.      Delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

2.      Delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte [1].

Questi due elementi vengono congiuntamente indicati come “meritevolezza” del debitore.

Due decisioni di omologa del piano del consumatore, una emessa dal Tribunale di Lucca [2], l’altra emessa dal Tribunale di Livorno [3], consentono di comprendere l’importanza di questo concetto e gli effetti che può produrre sul risultato finale dell’accordo.

Entrambe le proposte sono state presentate da consumatori che si sono rivolti a una associazione di tutela dei debitori e prevenzione usura e questo, è stato positivamente valutato da entrambi i giudici, i quali hanno visto in questa scelta la presa di coscienza del consumatore, della pericolosità della propria situazione finanziaria.

Entrambe le proposte sono state presentate da padri di famiglia (nuclei di 4 persone), lavoratori dipendenti, con una massa debitori di circa 250.000 euro.

In entrambi i casi, circa la metà del debito era costituita dal mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’abitazione di residenza del nucleo familiare. L’altra metà dei debiti, invece, era nei confronti di banche e società finanziarie per l’uso di carte di credito e per finanziamenti personali.

Entrambi i proponenti potevano contare su un reddito familiare mensile di circa 3.000 euro.

Si trattava, quindi, di posizioni di partenza molto simili. Quello che cambiava profondamente era, invece, il concetto di “meritevolezza” del debitore.

 

Il consumatore di Lucca si era indebitato per le seguenti ragioni (riportate nella relazione dell’O.C.C.).

Entrambi i suoi figli sono stati affetti, fin da bambini, da una malattia genetica che causava loro l’insorgenza di masse tumorali e, per questo, hanno subito lunghi periodi di degenza ospedaliera e numerosi interventi chirurgici.

Nel tentativo di garantire ai suoi figli le cure migliori, il consumatore si era rivolto ai più importanti specialisti in Italia e all’Estero, sostenendone la spesa.

La particolare situazione di stress determinata da una tale lotta, durata anni, gli aveva fatto perdere il lavoro.

In questa situazione il consumatore lucchese aveva accumulato l’ingente massa di debiti e, pur avendo trovato un nuovo lavoro, non riusciva a fronteggiare le azioni esecutive promosse dei creditori (in particolare la vendita della casa).

Il consumatore era stato in grado di documentare tutta la vicenda e di collegare cronologicamente le diverse accensioni di debiti con la necessità di pagare le spese mediche per i figli.

 

Il consumatore di Livorno, invece, si era indebitato per ragioni diverse (anche queste accertate dall’O.C.C.).

Egli, infatti, contando su un proprio capitale disponibile e stipulando un mutuo, aveva deciso di acquistare una abitazione di residenza molto grande e molto bella, in una delle zone più belle e panoramiche della costa livornese. Non aveva però tenuto conto delle notevoli spese di condominio e delle ingenti spese da sostenere per manutenere una abitazione in riva al mare.

Nel tempo, quindi, aveva dovuto accendere dei finanziamenti e/o ricorrere a carte revolving, per fronteggiare le spese condominiali.

Inoltre, il consumatore livornese, non aveva voluto disattendere il desiderio della figlia di studiare (con merito) presso una importante università privata. Anche per questo, egli aveva dovuto accendere due finanziamenti.

Alla fine la massa di debiti si era rivelata schiacciante e anche per lui erano in corso azioni esecutive dei creditori, in particolar modo la vendita della casa di abitazione.

Entrambi i piani del consumatore sono stati accettati e hanno previsto:

– la cessione ai creditori del TFR, al momento del pensionamento del debitore;

– il pagamento di una rata mensile (circa 800 euro), compatibile con i flussi finanziari del debitore;

– la sospensione di tutte le azioni esecutive (compresi pignoramenti sullo stipendio e azioni per la vendita della casa) e le devoluzioni volontarie del quinto dello stipendio.

Molto diverse sono state, però, le ulteriori decisioni prese dai due giudici:

Per il consumatore di Lucca, il giudice ha deciso:

– di concedere un piccolo abbattimento (9%) dei debiti complessivi;

– di non prevedere la maturazione di interessi durante il periodo di esecuzione del piano;

– di non prevedere particolari vincoli per il debitore in fase di esecuzione del piano; infatti, egli ha il solo obbligo di effettuare mensilmente i bonifici previsti per ciascun creditore e di inviare copia della ricevuta all’O.C.C.

 

Ben diversa la decisione presa dal giudice per il consumatore di Livorno, per il quale è stato previsto:

– che fossero pagati integralmente tutti i debiti;

– che fosse applicato l’interesse legale a favore della banca concedente il mutuo casa;

– che fosse inibita al consumatore la sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari di pagamento (carte di credito e/o di debito), e l’accesso al mercato del credito in ogni sua forma, per tutta la durata del piano;

– che, a cura dell’organismo di composizione della crisi, venisse data comunicazione all’attuale datore di lavoro (e futuri se del caso) delle seguenti decisioni del giudice:

1.      di pagamento dello stipendio mensile, nonché delle mensilità aggiuntive, e di ogni altro importo o somma riconducibile al rapporto di lavoro, soltanto attraverso bonifico sul conto corrente che sarà aperto dall’O.C.C. su Istituto Bancario a sua scelta e il cui IBAN provvederà a comunicare;

2.      della inibizione al consumatore dalla possibilità di richiedere anticipi del TFR;

– che, mensilmente, all’accredito dello stipendio del consumatore, l’O.C.C. provveda a effettuare i pagamenti previsti nel piano e, solo dopo, rilasci al consumatore la somma residua;

– che il contenuto del piano fosse pubblicizzato, sempre a cura dell’O.C.C., mediante comunicazione alla Banca d’Italia, nonché la pubblicazione sul sito internet del Tribunale di Livorno.

Come si vede, quindi, i due consumatori hanno entrambi ottenuto la risoluzione della propria condizione di sovraindebitamento, ma a condizioni che, se non sono troppo dissimili dal punto di vista economico, lo sono sicuramente dal punto di vista delle previsioni accessorie.

In conclusione, possiamo quindi dire che, nella proposta di piano del consumatore, il debitore deve analizzare attentamente le condizione della propria “meritevolezza”, al fine di calibrare al meglio la proposta e di essere preparato ai vari, possibili, scenari.

 

[1] Art. 9, comma 3 bis, Legge 3/2012.

[2] Trib. Lucca, ord. n. 415/15 del 27.10.2015.

[3] Trib. Livorno, ord. n. 9/15 del 15.03.2016.

 

 

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Sfratto bloccato: necessaria la prova della mediazione PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
giovedì 02 giugno 2016

È improcedibile lo sfratto se non viene tentata la mediazione obbligatoria una volta disposto il mutamento del rito a seguito dell’esaurimento della fase di cognizione sommaria.

 

Il padrone di casa che abbia iniziato lo sfratto contro l’inquilino moroso deve, in caso di contestazione da parte di quest’ultimo, avviare il tentativo di mediazione dopo la prima udienza. Diversamente, la procedura di sfratto si blocca e il locatore viene anche condannato alle spese legali. È quanto ricorda il tribunale di Mantova con una recente sentenza [1]. Nel caso di specie non era stata data prova della mediazione perché nessuno aveva depositato il relativo verbale di esperimento negativo, documentazione che andava esibita all’udienza successiva.

Come noto, il procedimento di sfratto inizia con un ricorso in tribunale depositato dal padrone di casa. All’udienza che ne consegue, l’inquilino può decidere di partecipare o non partecipare. Nel secondo caso, lo sfratto viene sempre confermato, sempre che vi siano le prove dell’inadempimento. Nel primo caso, invece il giudice può accordare – su richiesta dell’inquilino – un termine di 90 giorni (cosiddetto termine di grazia) per consentirgli di adempiere. In alternativa, sempre l’inquilino può opporsi allo sfratto e, in tal caso, inizia una causa ordinaria [2]. Ma prima dell’avvio del regolare iter giudiziale, il giudice è tenuto a ordinare alle parti di presentarsi innanzi all’organismo di mediazione, per tentare una soluzione bonaria della lite [3].

 

Necessaria la prova della mediazione

Nel caso di specie, il giudice ha chiuso il procedimento di opposizione allo sfratto perché nessuna delle parti aveva depositato il verbale di mediazione per dimostrare l’esperimento del tentativo di conciliazione. Dunque il giudice ha dichiarato l’improcedibilità della domanda di sfratto.

Non è quindi sufficiente adempiere all’ordine categorico della legge e del giudice di procedere in mediazione, ma è anche necessario darne prova esibendo il relativo verbale. In mancanza di ciò (ed è chiaro che l’interesse è tutto del locatore), il procedimento di sfratto si chiude.

Nel caso di specie le spese del processo sono state poste a carico del locatore, avendo questi, con la propria condotta, dato avvio al procedimento “senza poi compiere gli adempimenti necessari per la sua prosecuzione”. Quindi, anche se il termine per l’avvio della mediazione viene assegnato a entrambe le parti processuali, è evidente che la parte chiamata in giudizio (l’inquilino) può non avere alcun interesse alla prosecuzione dell’azione.

 

[1] Trib. Mantova, sent. del 20.01.2015.

[2] Artt. 426 e 667 cod. proc. civ.

[3] Art. 5, co. 1-bis e 4, lettera b, d.lgs. n. 28/2010.

 

 

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Mutui, pignoramento casa dopo 18 rate non pagate PDF Stampa E-mail
Mediazione Creditizia
giovedì 02 giugno 2016

Lo ha deciso oggi il Consiglio dei ministri che ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo

 

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo al decreto legislativo che attua la direttiva europea sui "contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali", il cosiddetto decreto mutui.

 

PROTEZIONE AI CONSUMATORI - La banca potrà quindi pignorare la casa dopo 18 rate non pagate di mutuo, anche non consecutive, e senza passare dall'asta giudiziaria. Il Cdm ha recepito i pareri delle commissioni parlamentari estendendo da sette a 18 mesi di rate mensili non pagate la soglia oltre la quale si ha "inadempimento" da parte del consumatore. Prevista anche più protezione per i consumatori. Nello specifico, si legge nella nota di Palazzo Chigi, la finalità della direttiva è quella di "garantire un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all'acquisto del diritto di proprietà su un immobile)”.

 

CANONI DI COMPORTAMENTO - Il decreto legislativo chiarisce l'ambito di applicazione delle nuove norme che è circoscritto a: mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale; mutui finalizzati all'acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato. Vengono inoltre individuati i "canoni di comportamento per i finanziatori e gli intermediari del credito che offrono contratti di credito ai consumatori (canoni di diligenza, correttezza, trasparenza e attenzione ai diritti e agli interessi dei consumatori)". Recependo i contenuti dei pareri parlamentari sono state inserite norme che vengono incontro ai consumatori in difficoltà a pagare le rate del mutuo.

 

ESTINZIONE DEL DEBITO - Nella stipula del contratto le parti possono convenire, attraverso clausola espressa, che in caso di inadempimento del consumatore la restituzione o il trasferimento del bene dato a garanzia, o dei proventi della vendita del bene stesso, comportino l'estinzione dell'intero debito anche se il valore del bene immobile restituito (o i proventi) sia inferiore al debito residuo. Qualora il valore dell'immobile o i proventi dalla vendita siano invece superiori al debito residuo, il consumatore ha diritto all'eccedenza. La possibilità di acconsentire, da parte del consumatore, al trasferimento della proprietà dell'immobile in caso di inadempimento prevede l'applicabilità solo per i futuri contratti. È stata anche prevista l'assistenza obbligatoria di un consulente per il consumatore che intenda sottoscrivere questa clausola.

 

 
Acquisto prima casa all'asta: novità in arrivo PDF Stampa E-mail
Mediazione Creditizia
giovedì 02 giugno 2016

Con un emendamento viene stabilito che si possa usufruire della tassa fissa di 200 euro senza l'obbligo di dover rivendere l'immobile entro 24 mesi.

 

Novità in campo immobiliare. Nel decreto sul credito cooperativo- attualmente in discussione in Parlamento – che norma prevede l'esenzione dell'imposta di registro del 9% per gli acquisti di immobili all'asta, si arricchisce di un'ulteriore novità.

TASSA FISSA - Con un emendamento presentato dal Pd, infatti, viene stabilito che si possa usufruire della tassa fissa di 200 euro senza l'obbligo di dover rivendere l'immobile entro 24 mesi. Fermo restando che si tratti della prima casa. Al dare il via libera alla modifica è stata la Commissione Finanze della Camera. Il privato che compra la prima casa all'asta potrà quindi usufruire della tassa fissa di registro a 200 euro senza l'obbligo di rivendere l'immobile entro 2 anni. L'agevolazione vale per gli immobili acquistati entro il 31 dicembre, dato che il governo si è riservato la possibilità di estendere l'agevolazione a seconda di quali sia stato l'impatto sull'acquisto di case all'asta.

 
Cartelle Equitalia: le contestazioni da non sollevare mai PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
giovedì 02 giugno 2016


Puntualmente rigettate le contestazioni sui vizi di notifica della cartella di pagamento e contestazioni sul merito della pretesa da parte dell’ente titolare del credito.

 

Quando si riceve la notifica di una cartella di pagamento di Equitalia (la cosiddetta cartella esattoriale) per importi in realtà dovuti, non sono pochi i contribuenti a tentare la “scappatoia” del ricorso, ancorandosi a vizi formali, per non corrispondere gli importi richiesti dall’Agente della riscossione. Alcune di queste contestazioni, però, sono del tutto inutili e potrebbero solo far spendere soldi al ricorrente; altre, invece, gli si potrebbero addirittura ritorcere contro, come le eccezioni sui difetti di notifica. Una panoramica di ciò che non è consigliabile fare la offre una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana [1] che val la pena di segnalare quale emblema di come, da una vicenda di per sé insignificante, si possa stilare un vademecum delle cause contro Equitalia.

 

Un boomerang le contestazioni sul difetto di notifica

La CTR innanzitutto rammenta un principio sul quale la giurisprudenza, ormai, ha preso da tempo una posizione ferma: quello secondo cui il vizio per difetto di notifica viene sanato dalla presentazione del ricorso. Può sembrare contraddittorio, ma così non è. Sarebbe infatti illogico sostenere di non aver mai ricevuto una cartella – o di non averla ricevuta correttamente – se, con l’impugnazione (e, quindi, con il deposito dell’atto impugnato innanzi al giudice), si ammette poi il suo ricevimento.

Scopo della notifica è, infatti, portare il contribuente a conoscenza della pretesa di pagamento nei suoi confronti e, quindi, metterlo nelle condizioni di difendersi. Ma se questi ha presentato ricorso ha ammesso due cose:

1) di essere – seppur trasversalmente – venuto a conoscenza della cartella;

2) di essersi, di conseguenza, potuto difendere.

L’eccezione sul difetto di notifica, dunque, quando sollevata con il ricorso contro l’atto di cui si contesta il corretto ricevimento, sana il vizio stesso. La logica che sta alla base di questo principio (meglio noto come “raggiungimento dello scopo da parte dell’atto”) non fa una grinza: se il contribuente si duole di non aver ricevuto la cartella di pagamento in modo corretto, non potrebbe neanche impugnarla, perché non dovrebbe esserne a conoscenza. Se, invece, la impugna, dimostra di averne preso, in qualche modo, visione anche se non con l’iter imposto dalla legge. E poiché le norme sul procedimento di notifica hanno per scopo proprio quello di rendere edotto il contribuente dell’atto notificatogli, il fatto che questi ammetta che ciò sia avvenuto – seppur in modo diverso da quello previsto dalla legge – fa sì che si possa dire che l’atto ha raggiunto il suo scopo.

 

Tale principio del raggiungimento dello scopo vale anche nei casi di vizi più gravi, ossia quelli di inesistenza della notifica (ad esempio, quando la cartella sia stata notificata in un luogo o consegnata ad una persona che non presentino alcun legame con il destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estranei). Anche in dette ipotesi, infatti, i vizi della la notifica si ritengono sanati in caso di tempestiva costituzione del ricorrente.

 

Ma cosa dovrebbe fare, allora, il contribuente per contestare un difetto di notifica di una cartella? In verità, l’unico modo è non sollevare ricorso e, invece, riservarsi tale carta per il successivo atto che effettuerà Equitalia. Si pensi a una cartella di pagamento non notificata presso l’abitazione del contribuente; se questi solleva subito il vizio, impugnando la cartella, lo sana. Ma se il debitore ha la pazienza di attendere la successiva mossa dell’Esattore, come ad esempio un preavviso di ipoteca, un pignoramento o una diffida ad adempiere, potrebbe impugnare quest’ultimo, sostenendo che il primitivo atto (la cartella, o meglio detta, in tal caso, atto prodromico) non gli è mai stata consegnata. In tal modo, egli dedurrebbe di non essersi potuto difendere contro l’iniziale pretesa di pagamento, non potendo presentare ricorso nei termini. E, allora, con l’accoglimento dell’eccezione da parte del giudice, tutto il procedimento di notifica decadrebbe. Quindi cesserebbe non solo il pignoramento, ma verrebbe annullata anche la cartella.

 

Le contestazioni sul merito del pagamento

Un altro tipo di eccezione che verrebbe sicuramente rigettato e che porterebbe il contribuente a spendere inutilmente soldi per il ricorso è quella volta a rimettere in gioco il “merito” del tributo o della sanzione, ossia il “se” o il “quanto” del pagamento. Facciamo un esempio per spiegarci meglio. Se il contribuente riceve una cartella di pagamento per una multa derivante dalla violazione del codice della strada, non potrebbe sollevare, nel ricorso contro l’atto di Equitalia, contestazioni contro la legittimità della multa stessa (per esempio, l’illegittimità dell’autovelox), poiché tali eccezioni possono essere sollevate solo contro la prima richiesta di pagamento (nell’esempio, la notifica del verbale da parte della polizia; ma potrebbe trattarsi anche di avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, arretrati di bollo auto, contributi Inps, ecc.).

Nella sentenza qui in commento si chiarisce che è inammissibile il tentativo di reintrodurre, mediante l’impugnazione della cartella, la cognizione sul merito della pretesa tributaria, specie se c’è già stato un ricorso contro il primo atto del fisco. E questo anche nel caso in cui si eccepisca la violazione della normativa comunitaria.

 

Le uniche eccezioni, dunque, che possono essere sollevate contro la cartella sono:

 

·         La mancata notifica dell’atto iniziale (nell’esempio di prima, la contravvenzione); in tal caso il debitore asserisce di non aver mai ricevuto, prima della cartella, alcun atto con il quale gli sia stata data la possibilità di difendersi da quella pretesa di pagamento;

·         vizi della cartella stessa (che non siano, come detto sopra, quelli relativi alla notifica), come ad esempio un errato calcolo degli importi, l’invio alla persona sbagliata, la mancata indicazione del responsabile del procedimento o delle modalità di conteggio degli interessi, ecc.

 

[1] CTR Toscana sent. n. 225/30/2016.

 
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