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Come ottenere il pagamento di un assegno bancario PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
martedì 02 agosto 2016

Perché sia possibile ottenere il pagamento di assegno bancario, il suo portatore deve presentarlo nei modi e tempi previsti dalla legge.

L’assegno bancario è pagabile a vista. Ogni contraria disposizione si ha per non scritta.

L’assegno bancario postdatato presentato al pagamento prima del giorno indicato come data di emissione è pagabile nel giorno di presentazione.

L’assegno bancario deve essere presentato al pagamento nel termine di otto giorni se è pagabile nello stesso comune in cui fu emesso; di quindici giorni se è pagabile in un altro comune ecc. (art. 32 L.A.).

Per ottenere il pagamento dell’assegno il portatore può o presentare l’assegno alla banca trattaria, nei termini prescritti dalla legge, oppure girare l’assegno per l’incasso ad una banca diversa da quella trattaria (cd. banca negoziatrice), che solitamente è quella di cui il portatore dell’assegno è cliente.

La banca negoziatrice provvederà a presentare l’assegno alla banca trattaria per riscuotere l’importo che successivamente verrà accreditato sul contro corrente del portatore.

La banca che effettua il pagamento compie dei controlli sia sull’identità del portatore dell’assegno sia sulla regolarità dell’assegno.

Il banchiere giratario per l’incasso di un assegno bancario non trasferibile non deve solo verificare l’identità personale del girante, ma anche controllare la regolarità del procedimento del trasferimento del titolo mediante l’opportuno attento esame dello strumento cartaceo (tale da consentire la constatazione di contraffazioni percepibili con l’ordinaria diligenza professionale), in quanto tale controllo rientra nell’ambito del doveroso accertamento della legittimazione cartolare del girante. La banca girataria per l’incasso che tale controllo abbia omesso risponde quindi del proprio illegittimo operato nei confronti del traente (Cass., 28 luglio 2000, n. 9902).

Il trattario che paga un assegno bancario trasferibile per girata è tenuto ad accertare la regolare continuità delle girate, ma non a verificare la autenticità delle firme dei giranti.

Ai fini della continuità della serie delle girate di un assegno bancario non rileva che una o più delle stesse siano invalide per falsità della firma o per difetto di rappresentanza del girante in nome altrui, poiché agli effetti della legittimazione del possessore è sufficiente la sola apparente regolarità delle singole girate (Cass., 5 maggio 2000, n. 5641).

Accade poi nella prassi che se l’assegno viene presentato al pagamento in una banca diversa dal quella trattaria la prima chieda informazioni alla banca trattaria circa l’esistenza della provvista (cd. benefondi). Il benefondi deve ricondursi ad una prassi interna dei rapporti tra istituti di credito (fonte di affidamento reciproco e di responsabilità civile), ma non fa sorgere l’obbligo di immediato accreditamento da parte della banca negoziatrice, se non risulti che il versamento sul conto di un titolo tratto su altra banca avvenga secondo una regolamentazione pattizia tale da imporre alla banca ricevente di mettere immediatamente a disposizione del suo cliente la relativa somma (Cass., 10 marzo 2000, n. 2742).

L’ordine di non pagare la somma dell’assegno bancario non ha effetto che dopo spirato il termine di presentazione. In mancanza di tale ordine il trattario può pagare anche dopo spirato detto termine.

La morte del traente e la sua incapacità sopravvenuta dopo l’emissione lasciano inalterati gli effetti dell’assegno bancario (art. 36 L.A.).

La mancata presentazione dell’assegno nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso contro i giranti ed i loro avallanti e non verso il traente.

IN PRATICA

L’assegno bancario deve essere presentato al trattario per il pagamento nel termine di otto giorni se pagabile nello stesso comune di emissione, di quindici giorni se pagabile in comune diverso.

Il portatore ottiene il pagamento presentando l’assegno alla banca trattaria, nei termini prescritti, oppure girando l’assegno a banca diversa dalla trattaria.

La mancata presentazione dell’assegno nei termini comporta la perdita dell’azione di regresso contro i giranti e loro avallanti ma non verso il traente.

La banca che effettua il pagamento è tenuta ad eseguire verifiche sull’identità del portatore e sulla regolarità dell’assegno.

 

 

 

 

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Cosa è l’assegno bancario sbarrato? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
martedì 02 agosto 2016

L’assegno bancario sbarrato è quello su cui traente o portatore appongono due sbarre parallele sulla faccia anteriore.

Una forma particolare di assegno bancario è l’assegno sbarrato, ossia il titolo che il traente o il portatore decidono di sbarrare.

Lo sbarramento è fatto con due sbarre parallele opposte sulla faccia anteriore.

Può essere generale o speciale:

– lo sbarramento è generale se tra le due sbarre non vi è alcuna indicazione o vi è la semplice parola “banchiere” o altra equivalente;

– lo sbarramento è speciale se tra le due sbarre è scritto il nome di un banchiere.

Lo sbarramento generale può essere trasformato in sbarramento speciale; ma questo non può essere trasformato in sbarramento generale.

La cancellazione dello sbarramento o del nome del banchiere si ha per non fatta.

L’assegno bancario con sbarramento generale non può essere pagato dal trattario che a un banchiere o a un cliente del trattario.

Un assegno bancario con sbarramento speciale non può essere pagato dal trattario che al banchiere designato, o, se questi è il trattario, a un suo cliente. Tuttavia il banchiere designato può servirsi per l’incasso di altro banchiere. Un banchiere non può acquistare un assegno sbarrato che da un suo cliente o da altro banchiere. Non può incassarlo per conto di altre persone tranne le anzidette.

Un assegno bancario con diversi sbarramenti speciali non può essere pagato dal trattario salvo il caso che si tratti di due sbarramenti, di cui uno per l’incasso a mezzo di una stanza di compensazione.

Il trattario o il banchiere che non osservi le precedenti disposizioni risponde del danno nei limiti dell’importo dell’assegno bancario (art. 40 L.A.).

Ai fini del pagamento di un assegno bancario sbarrato, la qualità di cliente della banca può essere riconosciuta soltanto al soggetto che abbia, precedentemente alla presentazione dell’assegno stesso, intrattenuto con la banca abituali rapporti di affari tipici del servizio bancario, onde non è sufficiente la mera conoscenza dell’identità della persona medesima (Cass., 29 luglio 1997, n. 7076).

IN PRATICA

L’assegno bancario sbarrato è quello su cui traente o portatore appongono due sbarre parallele sulla faccia anteriore. Si distingue in:

assegno bancario con sbarramento generale, ove tra le sbarre non vi è indicazione oppure vi è la parola “banchiere” o altra equivalente ed il trattario deve pagare a un banchiere o ad un cliente del trattario;

assegno bancario con sbarramento “speciale”, ove tra le sbarre vi è indicazione del nome di un banchiere e deve essere pagato al banchiere designato, o, se questi è il trattario, a un suo cliente.

 

 

 

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L’avallo dell’assegno PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
lunedì 01 agosto 2016

Come per la cambiale, anche nel caso dell’assegno bancario è previsto l’istituto dell’avallo, ossia la dichiarazione con cui un soggetto (avallante) garantisce il pagamento dell’assegno per un altro obbligato (avallato).

Anche il pagamento dell’assegno bancario può essere garantito con avallo per tutta o parte della somma. Tale prassi tuttavia, rispetto all’avallo della cambiale, è piuttosto rara.

Questa garanzia può essere prestata da un terzo, escluso il trattario (diversamente da quanto accade per la cambiale), o anche da un firmatario dell’assegno bancario.

L’avallo è apposto sull’assegno bancario o sull’allungamento ed è espresso con le parole “per avallo” o con ogni altra formula equivalente; è sottoscritto dall’avallante.

L’avallo si considera dato con la sola firma dell’avallante apposta sulla faccia anteriore dell’assegno bancario, purché non si tratti della firma del traente.

L’avallo deve indicare per chi è dato. In mancanza di questa indicazione si intende dato per il traente (art. 29 L.A.).

L’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato. La sua obbligazione è valida ancorché l’obbligazione garantita sia nulla per qualsiasi causa tranne il vizio di forma.

L’avallante che paga l’assegno bancario acquista i diritti ad esso inerenti contro l’avallato e contro coloro che sono obbligati verso di lui per effetto dell’assegno bancario.

IN PRATICA

L’avallo su assegno bancario è apposto sul titolo stesso o sul suo allungamento, con la clausola “per avallo” od altra equivalente, ed è sottoscritto dall’avallante.

 

 

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Come annullare un assegno PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
domenica 31 luglio 2016

Se hai emesso un assegno e vuoi evitare che il creditore lo versi sul proprio conto, dopo averlo portato in banca per l’incasso, puoi seguire uno di questi suggerimenti pratici.

Nella comune prassi chi deve annullare un assegno utilizza diversi sistemi a seconda che l’annullamento avvenga con il consenso del creditore (ossia di colui che detiene il titolo, il cosiddetto prenditore) oppure senza il consenso di quest’ultimo. Non tutte queste vie, però, sono legali e, addirittura, alcune di queste possono creare dei seri problemi con la giustizia. Difatti, in linea generale, l’assegno è un titolo pagabile a vista, ossia la banca lo deve negoziare a chi lo presenta per l’incasso, senza poter fare valutazioni sull’esistenza o meno del debito a fronte del quale l’assegno è stato emesso. Questo principio non può essere derogato neanche dalle stesse parti, ossia dal creditore e dal debitore, ad esempio con la cosiddetta “clausola di postdatazione”: detto in termini più spiccioli, anche l’assegno postdatato può essere pagato immediatamente, benché non sia ancora giunta la data in esso riportato.

Come vedremo a breve, l’unica valutazione che la banca può fare per annullare l’assegno è verificare che la firma su di esso apposta sia effettivamente quella del titolare del carnet. Solo in caso di mancata corrispondenza con la firma depositata in banca al momento del rilascio del blocchetto degli assegni, la banca può rifiutarsi di pagare il titolo.

Ma procediamo con ordine e vediamo tutte le possibili vie per annullare un assegno.

Come annullare l’assegno se c’è il consenso del creditore

Nel caso in cui il debitore e il creditore abbiano trovato un accordo in merito ai loro rapporti economici, annullare un assegno precedentemente rilasciato dal primo è cosa assai facile: basta strapparlo o scrivervi di sopra “annullato”. In tal modo l’assegno viene privato di qualsiasi efficacia anche se sono state effettuate fotocopie o della sua emissione è stata data menzione all’interno di precedenti scritture private, transazioni, contratti o altri accordi.

Di norma, per annullare l’assegno si usa strapparlo in tanti pezzi. È altresì valido sbarrare il titolo con una penna indelebile: alcuni vi scrivono, sulla facciata principale, due rette diagonali con la dicitura “annullato”.

Non esistono, in verità, formule particolari: l’importante è che emerga chiaramente l’annullamento in modo che il cassiere – a cui eventualmente possa essere portato l’assegno – possa comprendere l’intenzione delle parti di togliere efficacia al titolo.

Come annullare l’assegno se non c’è il consenso del creditore

Il problema si può porre se chi vuole annullare l’assegno non ha ottenuto il consenso del creditore. Difatti, in questo caso, non si può unilateralmente annullare l’assegno vietando alla banca di negoziarlo. Le cose, in particolare, stanno in questo modo.

Quando si emette un assegno si dà alla propria banca l’ordine di pagarlo a vista. Il debitore non può revocare quest’ordine prima di 8 o 15 giorni (a seconda che l’assegno sia “su piazza” o “fuori piazza” – v. dopo): in pratica, se il possessore dell’assegno (il creditore) porta il titolo alla propria banca per “versarlo sul proprio conto” e lo fa entro 8 giorni (nel caso in cui la banca del traente e quella del prenditore siano nello stesso Comune – cosiddetto assegno su piazza) o entro 15 (in caso di Comune diverso – cosiddetto assegno fuori piazza) non c’è modo (lecito) di evitare il pagamento e di annullare l’assegno.

Invece, una volta scaduto il termine di 8 o 15 giorni, chi ha emesso l’assegno può revocarlo e chiedere alla propria banca di non pagarlo più. Resta comunque fermo il debito principale in virtù del quale il debitore ha emesso l’assegno. Se non onorato con il titolo, il prenditore potrà utilizzare l’assegno per chiedere un pignoramento nei confronti del debitore.

Dichiarazione di furto o smarrimento dell’assegno

Qualcuno, spesso mal consigliato, crede di annullare l’assegno dichiarandone lo smarrimento o il furto alle autorità: in buona sostanza, il titolare del libretto si presenta presso i carabinieri o la polizia e ne denuncia uno di tali eventi sporgendo denuncia (ad esempio, nel caso di furto, la denuncia è contro ignoti). Tuttavia questa strada è molto pericolosa. Difatti, nel momento in cui il creditore andrà in banca a chiedere che gli venga versato l’assegno sul conto, il titolo verrà trattenuto dalla banca in quanto dichiarato perso o smarrito; nei suoi confronti verrà aperto un procedimento penale (in quanto sospettato, ad esempio, di furto). Poiché però per il creditore sarà facile dimostrare di possedere l’assegno in forza di una valida ragione (una vendita, un contratto, ecc.) il debitore potrebbe essere controquerelato per calunnia e subire, a sua volta, un processo penale.

Un nuovo accordo o un nuovo assegno non annullano il vecchio

Firmare un nuovo accordo con il creditore che regolamenti i rapporti economici tra le parti (cosiddetta transazione) o emettere un nuovo assegno in sostituzione del precedente non servono ad annullare l’assegno già emesso. Anche se nell’accordo si fa menzione del fatto che al primo assegno viene tolto ogni valore e che il creditore non può più incassarlo, per rendere opponibile tale accordo alla banca è necessario procedere al materiale annullamento del vecchio assegno (come detto prima: distruzione o scarabocchio di sopra con la scritta annullato), altrimenti, la banca è tenuta a pagarlo (salvo poi un’azione di risarcimento del danno contro chi ha violato i patti).

Sarà quindi necessario, oltre a inserire una clausola nell’atto di transazione, in cui le parti stabiliscono che il primo assegno non deve più essere portato all’incasso, che questo venga strappato o annullato.

 

 

 

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Quando scade una fideiussione? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
domenica 31 luglio 2016

La durata della fideiussione è legata a quella del contratto da cui deriva il debito principale: il garante non è libero finché non viene liberato il debitore a cui questi ha prestato garanzia.

Il problema principale per chi si presta a fare da “garante” di un’altra persona (ossia, secondo la terminologia giuridica, accetta di essere suo “fideiussore”) è sapere per quanto tempo dura la sua garanzia: in altre parole, dopo quando scade la fideiussione da lui prestata? Ma andiamo per gradi.

La garanzia personale: cos’è?

Spesso banche, finanziarie e altri grossi istituti che erogano credito, prima di concedere un mutuo o un prestito di qualsiasi tipo al proprie cliente, chiedono una garanzia. Tale garanzia può essere di due tipi:

·         reale” ossia su una cosa (in latino, “cosa” si diceva “res”, da cui la parola “reale”). È il caso dell’ipoteca: se il creditore non ottiene il pagamento, mette in vendita la “cosa” (immobile) su cui è stata prestata la garanzia. La vendita avviene attraverso le aste pubbliche gestite dal tribunale. Con il ricavato, il creditore va a compensare il debito che non è stato pagato. Ciò ovviamente avviene nei limiti del possibile, dovendosi fare i conti con l’eventualità che nessun offerente si faccia avanti o che il prezzo di vendita sia più basso del credito azionato con l’esecuzione forzata;

·         personale”: un soggetto – diverso dal debitore – stipula un contratto con la banca (cosiddetta fideiussione) garantendo, con il proprio patrimonio, il pagamento del debitore. Egli, in buona sostanza, dice alla banca “Se il debitore non ti paga, ti pagherò io; e se non ti pagherò spontaneamente, potrai pignorarmi tutti i beni, nei limiti ovviamente del tuo credito”. Dire “garante” e dire “fideiussore” è, dunque, la stessa cosa.

Come funziona la fideiussione?

Il fideiussore è obbligato “in solido” col debitore principale al pagamento del debito: questo significa che il creditore può agire indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro.

Tuttavia, le parti si possono accordare nel senso che il creditore debba prima rivolgersi nei confronti del debitore principale (cosiddetto beneficio di previa escussione): in tal caso, il fideiussore potrà essere condannato, in tutto o in parte, solo dopo l’esito infruttuoso della procedura esecutiva avviata sui beni del debitore che il fideiussore medesimo è tenuto ad indicare.

È ammessa la fideiussione prestata da più persone per un medesimo debito (cd. “confideiussione“): in tal caso, ciascuna di esse è obbligata per l’intero debito, salvo che sia stato pattuito il beneficio della divisione. Con tale patto, il debito si divide in tante parti quanti sono i fideiussori, ed ogni fideiussore può esigere che il creditore riduca l’azione alla parte da lui dovuta.

Il fideiussore che ha pagato il debito può agire nei confronti del debitore “garantito” e ottenere la restituzione dell’importo versato al creditore (cosiddetta azione di regresso). Il regresso comprende il capitale, gli interessi e le spese che il fideiussore ha fatto dopo che ha denunziato al debitore principale le istanze proposte contro di lui, nonché gli interessi legali sulla somma pagata dal giorno del pagamento. Il regresso è invece limitato al vantaggio effettivo del debitore solo nell’ipotesi di incapacità di quest’ultimo.

Per quanto tempo resta obbligato il garante?

A questo punto vediamo quanto tempo dura la garanzia ossia dopo quando scade la fideiussione. La regola è contenuta nel codice civile [1]: la fideiussione dura per tutto il tempo in cui dura l’obbligazione principale, quella cioè garantita. Nel momento in cui il debito viene pagato, anche il garante viene liberato. Al contrario, se il debitore non paga il suo debito, il creditore può agire nei confronti del garante.

La fideiussione scade anche se, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, il creditore non agisce nei confronti del debitore entro sei mesi: in tal caso, si verifica per il creditore una decadenza dal diritto verso il fideiussore. Tale termine si riduce a due mesi se il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale.

LA SENTENZA

Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 27 settembre 2011, n. 19736

Il “fatto” del creditore, rilevante ai sensi dell’art. 1955 c.c. ai fini della liberazione del fideiussore, non può consistere nella mera inazione, ma deve costituire violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, con conseguente sottrazione al fideiussore di concrete possibilità esistenti nella sfera del creditore al tempo della garanzia, che gli avrebbero consentito l’attuazione dell’obbligazione garantita. Il pregiudizio deve, inoltre, essere giuridico, non solo economico, e concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore.

Conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. III, sentenza 16 giugno 2003, n. 9634.

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 13.02.2009, n. 3525

Qualora un contratto di fideiussione venga stipulato a garanzia del pagamento dei canoni di un contratto di locazione, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione da parte del locatore, questi

è tenuto a riferire al fideiussore della morosità, onde farsi autorizzare ad attendere il pagamento, in tal modo facendo credito al conduttore con la garanzia del fideiussore; se ciò non avviene, è applicabile la previsione dell’art. 1956 cod. civ., secondo cui in tale ipotesi il fideiussore è liberato dalla propria obbligazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nonostante il fideiussore avesse chiesto di vedere riconosciuta la propria liberazione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ., aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendo il permanere dell’obbligazione di garanzia).

Tribunale di Bari, Sezione 1, Sentenza 10.05.2008

Nella fideiussione per obbligazione futura l’onere del creditore, previsto dall’art. 1956 cod. civ., di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa; i presupposti di applicabilità dell’art. 1956 cod. civ. non ricorrono allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della societàdebitrice principale, giacché in tale ipotesi la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito.

Tribunale di Bari Civile Sentenza del 10.05.2008

Il creditore, nella fideiussione per obbligazione futura, ha l’onere di ottenere l’autorizzazione del fideiussore prima della concessione di un credito ad un terzo, con condizioni patrimoniali aggravatesi successivamente alla stipulazione, al fine di permettere al fideiussore di evitare di dover adempiere un’obbligazione divenuta più onerosa. Nel caso in cui lo stesso soggetto sia fideiussore e al tempo stesso legale rappresentante della società debitrice principale, non sussistono i presupposti in virtù dei quali può essere applicato l’art. 1956 c.c.

Tribunale di Bologna, Sezione 2 Civile, Sentenza del 14 marzo 2007, n. 515

Il fideiussore che chiede la liberazione dalla prestata garanzia, invocando l’applicazione dell’art. 1956 c.c., ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbiafatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.

In senso conforme, vedi, Cassazione civile, Sez. I, sentenza 22 maggio 2003, n. 8040.

Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 21.02.2006, n. 3761

La banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. La mancata richiesta di autorizzazione non può tuttavia configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore.

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 07.02.2006, n. 2524

Il fideiussore che chiede la liberazione della prestata garanzia, invocando l’applicazione dell’art. 1956 cod. civ., ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’esistenza degli elementi richiesti atal fine, e cioè che successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 26.01.2006, n. 1689

In relazione ai rapporti di fideiussione per obbligazioni future la cui durata era in corso della data di efficacia della norma del comma 2 dell’articolo 1956 del Cc, aggiunta dall’articolo 10 della legge 154/1992, in virtù della corretta applicazione dell’articolo 11, comma 1, delle preleggi, detta norma, mentre non comporta la nullità sopravvenuta fin dalla nascita del rapporto contrattuale della clausola di rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione dalla garanzia, ai sensi del comma 1 dell’articolo 1956 del Cc, ove ne ricorrano i presupposti, con la conseguenza che la clausola, dovendo ritenersi valida ed efficace fino al momento dell’entrata in vigore del suddetto comma 2, è idonea a escludere la liberazione del fideiussore riguardo alle obbligazioni principali sorte prima di quel momento, viceversa, determina la nullità sopravvenuta, con effetto da quel momento e in forza dell’applicazione dell’articolo 1339 del Cc, della clausola convenzionale stessa, con la conseguenza che l’esclusione dalla liberazione del fideiussore da tale clausola disposta, ove ricorrano i presupposti del citato comma 1, non può trovare giustificazione in essa, riguardo a obbligazioni principali che siano sorte soltanto dopo quel momento.

Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 11.01.2006, n. 394

Nella disciplina anteriore alla L. 154/92 la clausola contrattuale derogatrice all’art. 1956 c.c. deve considerarsi valida, ma la sua operatività va esclusa qualora il garante provi che il comportamento della banca nella nuova concessione di credito sia stato contrario, nei suoi riguardi, al principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

Corte d’Appello di Catania, Sezione 1 Civile, Sentenza 27.05.2008, n. 716

L’istanza idonea ad impedire la decadenza dalla garanzia fideiussoria nonostante la scadenza dell’obbligazione principale è solo quella di carattere giudiziario da adottarsi secondo le forme di rito previste in ragione della tutela domandata, con la conseguenza che la ricezione da parte del debitore di una nota con cui il creditore richieda il pagamento non è sufficiente a determinare la sopravvivenza della garanzia.

Corte di Cassazione, Sezione 3Civile, Sentenza 18.04.2007, n. 9245

La rinuncia preventiva del fideiussore a far valere la decadenza prevista dall’articolo 1957 comma 1, del c.c. a carico del creditore che non abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate, entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita non solo può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione da parte del fideiussore del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore, ma non rientra tra le clausole particolarmente onerose per le quali l’articolo 1341 del c.c. esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente.

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 13.04.2007, n. 8839

In relazione al contratto di Fideiussione, la decadenza del creditore dal diritto di pretendere dal fideiussore l’adempimento dell’obbligazione principale per mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale nel termine semestrale previsto dall’art. 1957 primo comma, cod. civ. può essere convenzionalmenteesclusa per effetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore e non opera, in particolare, ove le parti abbiano previsto che la Fideiussione si estingua solo all’estinguersi del debito garantito.

Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, Sentenza 10.11.2006, n. 24060

In tema di fideiussione la decadenza di cui all’art. 1957 cod. civ. -per il caso in cui il creditore non abbia proposto e diligentemente continuato le proprie istanze contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione- non è resa inoperante dall’apertura, a carico del debitore principale, di una procedura concorsuale: questa, infatti, non implica l’impossibilità giuridica di proporre istanze contro il debitore e di coltivarle diligentemente, ma comporta soltanto che la diligenza del creditore sia valutata in relazione alle possibilità concesse dall’ordinamento in questi casi.

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 12.12.2005, n. 27333

Contratto autonomo di garanzia è quello in base al quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad eseguire a prima richiesta la prestazione del debitore indipendentemente dall’esistenza, dalla validità ed efficacia del rapporto di base, e senza sollevare eccezioni (salvo l'”exceptio doli”). Perla sua indipendenza dall’obbligazione principale si distingue pertanto dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante si obbliga piuttosto a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta. Si distingue altresì dalla garanzia “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta”, nella quale il fideiussore si impegna a rinunziare ad opporre -prima del pagamento- le eccezioni che gli competono, in deroga all’art. 1945 cod. civ., sicché esso si risolve in una clausola “solve et repete” ex art. 1462 cod. civ. (laddove non valga viceversa a sottolineare l’autonomia dal rapporto principale garantito, in tal caso sostanziandosi in un contratto autonomo di garanzia). La deroga all’art. 1957 cod. civ. non può d’altro canto ritenersi implicita nell’inserimento, nella fideiussione, di una clausola di “pagamento a prima richiesta” o di altra equivalente, sia perché detta norma è espressione di un’esigenza di protezione del fideiussore che prescinde dall’esistenza di un vincolo di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella del debitore principale e può essere considerata meritevole di tutela anche nelle ipotesi in cui tale collegamento sia assente, sia perché la presenza di una clausola siffatta non assume comunque rilievo decisivo ai fini della qualificazione di un negozio come “contratto autonomo di garanzia” o come “Fideiussione”, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome) sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita, sia infine a clausole, il cui inserimento nel contratto di garanzia è finalizzato, nella comune intenzione dei contraenti, (non all’esclusione, ma) a una deroga parziale della disciplina dettata dal citato art. 1957, ad esempio limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta sia sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, esonerando il creditore dall’onere di proporre azione giudiziaria. Ne consegue che, non essendo la clausola di pagamento a prima richiesta di per sé incompatibile con l’applicazione della citata norma codicistica, spetta al giudice di merito accertare, di volta in volta, la volontà in concreto manifestata dalle parti con la stipulazione della detta clausola.

 

[1] Art. 1957 cod. civ.

 

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