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Lesione di legittima e donazione con riserva di proprietà |
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Consulenza Legale
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mercoledì 20 luglio 2016 |
Lesione della legittima: la donazione con riserva di usufrutto va calcolata come piena proprietà. Se il defunto, quando era ancora in vita, ha effettuato una donazione di un immobile, riservandosi su di esso l’usufrutto (cosiddetta donazione con riserva di usufrutto), al fine di stabilire se tale cessione ha leso la quota riservata agli eredi legittimari (cosiddetta “legittima”), detto atto va considerato come se fosse una donazione della piena proprietà. E ciò perché conta il valore dei beni al momento in cui si apre la successione: difatti, al momento della morte dell’usufruttuario, il nudo proprietario acquisisce la piena proprietà dell’immobile. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1]. Per comprendere questo principio è necessaria una premessa. Quando il proprietario di un bene cede la nuda proprietà a un altro soggetto per riservarsi l’usufrutto o, al contrario, quando cede l’usufrutto e si riserva la nuda proprietà, i poteri normalmente spettanti al titolare dell’immobile vengono a scindersi: una parte finisce al nudo proprietario, un’altra all’usufruttuario. Questa situazione rimane fino a quando uno dei due soggetti decede: in tale ipotesi i due diritti (nuda proprietà da un lato, usufrutto dall’altro) tornano a riunirsi nello stesso soggetto, che quindi diventa il proprietario pieno. La proprietà piena di un bene vale di più della nuda proprietà o solo dell’usufrutto, perché sono situazioni con poteri “dimezzati”, che quindi non attribuiscono gli stessi vantaggi sul bene che avrebbe il titolare esclusivo. Ma è anche vero che, se il proprietario dona la nuda proprietà dell’immobile e si riserva l’usufrutto vita natural durante, alla sua morte il nudo proprietario diventa pieno proprietario e, quindi, acquista un diritto completo, con tutto il suo valore. Sulla base di questi concetti, è più facile comprendere la sentenza in commento. Non è la prima volta che la Cassazione dice che, al fine di stabilire se l’atto di cessione compiuto in vita dal defunto abbia leso o meno la quota riservata ai legittimari, la donazione con riserva di usufrutto da lui fatta in vita deve essere calcolata come se fosse una donazione in piena proprietà [2], perché tale, alla fine, sarà alla morte del donante. La pronuncia in commento ribadisce quindi che, per verificare se è stata violata la quota di legittima degli eredi, il valore dei beni donati in vita dal de cuius deve essere determinato al momento dell’apertura della successione: per effetto di quest’ultima, infatti, l’usufrutto che il donante si era riservato viene a consolidarsi con la nuda proprietà. [1] Cass. sent. n. 14747/16 del 19.07.2016. [2] Cass. sent. n. 20387/2008; Cass. n. 3452/1973. RICHIEDI CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO |
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Cosa è il pagamento parziale? |
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Consulenza Legale
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martedì 19 luglio 2016 |
Attraverso il pagamento parziale, il debitore adempie solo ad una parte della sua obbligazione; tuttavia, di norma, la parte debitrice non ha il diritto di eseguire questa forma di pagamento. Il creditore, salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente, può rifiutare l’adempimento parziale di un credito unitario, ossia derivante da un unico rapporto obbligatorio, anche se la prestazione è divisibile (art. 1181 c.c.), perché questo costituisce un adempimento inesatto sotto il profilo quantitativo della prestazione (art. 1218 c.c.) e quindi generatore di responsabilità per il debitore (art. 1181 c.c.). Il debitore, a prescindere dalle giustificazioni che possa addurre, non è di norma legittimato ad eseguire pagamenti parziali di prestazioni (quindi, ad esempio, pagamenti dilazionati o rateali non concordati), ma deve compiere pagamenti integrali (comprensivi quindi dell’integrità delle somme dovute, degli interessi e delle spese). Come detto il creditore può, se lo ritiene, accettare il pagamento parziale. In ogni caso l’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento parziale non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce, non precludendo conseguentemente al creditore stesso di azionare la risoluzione del contratto, né al giudice di dichiararla, ove la parte residuale del credito rimasta scoperta sia tale da comportare ugualmente la gravità dell’inadempimento (Cass., 8 gennaio 1987, n. 20). Alternativamente il creditore potrà agire contro il debitore per il pagamento della parte residua del credito (Cass., 12 dicembre 1988, n. 6728). Correlativamente si è affermato che, in assenza di espresse disposizioni, o di principi generali desumibili da una interpretazione sistematica, deve anche riconoscersi al creditore di una determinata somma, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, la facoltà di chiedere giudizialmente, anche in via monitoria, un adempimento parziale, in correlazione con la facoltà di accettarlo, attribuitagli dall’art. 1181 c.c., con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere che risponde ad un interesse meritevole di tutela del creditore stesso senza sacrificare in alcun modo il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni (Cass., 10 aprile 2000, n. 108). Si è anche affermato che il creditore avrebbe facoltà, in previsione di contestazioni di una sua maggiore pretesa od altro, di accettare o domandare un pagamento parziale (Cass., 15 aprile 1998, n. 3814) e, in qualche decisione, che la richiesta di un pagamento solo parziale varrebbe ad impedire la decadenza anche in ordine alla frazione residua del credito (Cass., 4 febbraio 1994, n. 1136). È stato però anche affermato che, secondo i principi generali dettati in tema di adempimento delle obbligazioni, il debitore ed il creditore sono tenuti ad osservare un comportamento improntato alle regole della correttezza, ai sensi dell’art. 1175 c.c., e della buona fede al momento della esecuzione del contratto, secondo il disposto dell’art. 1355 c.c., con la conseguenza che l’adempimento di una obbligazione pecuniaria, nascente da un unico rapporto obbligatorio, andrebbe, rispettivamente, eseguito e preteso in un’unica soluzione, non potendo ritenersi lecito, in linea di principio, un mutamento di termini e modalità genetiche del rapporto nel momento finale della sua esecuzione, giusto il disposto dell’art. 1181 c.c. (salvo che la legge o gli usi dispongano diversamente, ovvero che, in sede processuale, la definizione di alcune soltanto delle domande proposte si dimostri di “interesse apprezzabile” per la parte istante, come previsto dall’art. 277 c.p.c.). È stata, ad esempio, esclusa la legittimità di una richiesta coattiva di adempimento in più soluzioni di un debito pecuniario scaturente da un’unica fonte obbligatoria attraverso il ricorso a più decreti ingiuntivi, per somme ogni volta inferiori a quella complessivamente dovuta (Cass., 8 agosto 1997, n. 7400; si vedano però anche le altre decisioni sopra citate). L’accordo stipulato tra creditore procedente e debitore esecutato in ordine alla rinuncia alla procedura esecutiva, da parte del primo, e all’adempimento parziale della prestazione, da parte del secondo, potrebbe assumere i caratteri e la veste della transazione (in quanto dopo che sia sorto dissenso circa l’interpretazione del titolo esecutivo, la ritualità della procedura, la pignorabilità ed il valore dei beni, l’accordo miri a porre termine a liti e contrasti mediante reciproche concessioni) ovvero della remissione del debito (se abbia ad oggetto la mera rinuncia del creditore, definitiva ed irrevocabile, ad una parte del credito — Cass., 16 dicembre 1982, n. 6934). La deroga ai principi esposti, oltre che convenzionale, potrebbe essere anche legale. Infatti: – è previsto che i coeredi contribuiscano tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salva diversa disposizione del testatore, ex art. 752 c.c.; – è disposto che quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguano per le quantità corrispondenti (art. 1241 c.c.), per cui l’eventuale credito di maggior entità risulterà in tal modo adempiuto solo parzialmente; – altre deroghe sono previste in materia di cambiale e di assegno e di pagamenti da parte dello Stato o degli altri enti pubblici. IN PRATICA Il debitore può, con il consenso del creditore, eseguire un pagamento parziale, tuttavia, non si ha liberazione dall’obbligazione ma, semplicemente, la sua riduzione: in capo al creditore rimane, se ne sussistono tutti i presupposti, eventualmente anche il diritto di chiedere la risoluzione del contratto. RICHIEDI CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO |
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Cosa è il pagamento con surrogazione? |
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Consulenza Legale
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martedì 19 luglio 2016 |
Può verificarsi l’ipotesi in cui il creditore, nel ricevere il pagamento da un terzo, lo surroghi, contemporaneamente ed espressamente, nei propri diritti, ex art. 1201 c.c.
Colui che ha pagato può agire in giudizio contro il debitore con tutti i diritti e le azioni che spetta- vano al creditore originario e conserva i diritti accessori di garanzia del credito. La surrogazione può essere: · Per volontà del creditore: quando il creditore, ricevuto il pagamento da un
terzo, contestualmente al pagamento ed espressamente, lo surroga nei propri diritti. Frequentemente la volontà del creditore è espressa nella quietanza. Si verifica così una successione a titolo particolare per atto tra vivi nella titolarità dei diritti del creditore; · Per volontà del debitore: quando il debitore che prende a mutuo una somma di denaro (o altra cosa fungibile) al fine di pagare un debito, surroga il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo, ai sensi dell’art. 1202 c.c. È però necessario che nel mutuo, che deve avere data certa, sia indicata espressamente la destinazione della somma mutuata e che nella quietanza, che deve anch’essa avere data certa, il creditore, su richiesta del debitore, menzioni (come è suo obbligo in tale ipotesi) la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento. Tali requisiti sono finalizzati a tutelare gli altri creditori; · legale, che opera di diritto nelle seguenti ipotesi, previste dall’art. 1203 c.c.: o — a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro creditore, che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche; o — a vantaggio dell’acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del
prezzo di acquisto, paga uno o più creditori a favore dei quali l’immobile
è ipotecato; o — a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento
del debito, aveva interesse a soddisfarlo; o — a vantaggio dell’erede con beneficio d’inventario, che paga con denaro
proprio i debiti ereditari; o — negli altri casi stabiliti dalla legge.
La surrogazione che si verifica nelle ipotesi esaminate sopra ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore, ma se il credito è garantito da pegno, il surrogante non può trasferire al terzo surrogato, senza il
consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno. In caso di dis- senso il surrogante rimane custode del pegno.
Se non è stato diversamente pattuito, quando il pagamento è parziale, il terzo surrogato ed il creditore concorrono nei confronti di quanto è dovuto, ex 1205 c.c IN PRATICA Il legislatore ha previsto tre forme di surrogazione: · – per volontà del creditore; · – per volontà del debitore; · – legale. In tutte le ipotesi individuate, il soggetto che ha eseguito il pagamento può agire in giudizio contro il debitore ed ha il potere di far valere tutti i diritti e le azioni che sarebbero spettate al creditore originario. RICHIEDI CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO |
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La prestazione in luogo dell’adempimento |
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Consulenza Legale
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martedì 19 luglio 2016 |
Come si effettuano il pagamento con mezzi alternativi e l’esecuzione della prestazione in luogo dell’adempimento? Nonostante la regola generale in base alla quale il debitore deve eseguire nel termine la prestazione dovuta esattamente, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, il legislatore consente modalità alternative di esecuzione della prestazione. L’orientamento tradizionale tuttora prevalente in giurisprudenza attribuisce solo al pagamento effettuato con moneta legale l’impossibilità per il creditore di rifiutare la prestazione e l’efficacia di liberazione del debitore.
Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o persino maggiore, salvo che il creditore acconsenta. In quest’ultimo caso il creditore ed il debitore consensualmente e contestualmente modificano il rapporto, prevedendo che l’adempimento avvenga per mezzo della nuova prestazione, per cui l’obbligazione si estingue solo quando la diversa prestazione è eseguita (art. 1197 c.c.). Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa, secondo le norme della vendita, salvo che il creditore preferisca esigere, secondo il dettato dell’art. 1197 c.c., la prestazione originaria ed il risarcimento del danno. In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi. Il creditore viene quindi a trovarsi, in queste ipotesi, in una posizione assimilabile a quella dell’acquirente a titolo oneroso. Egli però, come anticipato, in caso di evizione o di vizi, può scegliere tra fare valere la relativa garanzia o pretendere la prestazione originaria. Quando in luogo dell’adempimento è ceduto un credito, l’obbligazione non si estingue con lo scambio dei consensi relativo al trasferimento del credito, ma con la riscossione del credito, se non risulta una diversa volontà delle parti, ai sensi dell’art. 1198 c.c., con le quali esse, ad esempio, avrebbero potuto pattuire che l’estinzione avvenisse al momento della cessione. Se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa, però, da negligenza del creditore nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso, l’obbligazione si estingue comunque.
Anche il pagamento di una somma di denaro attraverso assegni bancari, ancorché circolari, concretizzerebbe un fenomeno di prestazione in luogo dell’adempimento ex art. 1197 c.c. (datio in solutum), e darebbe quindi luogo all’adempimento solo al momento della ricezione del titolo da parte del creditore, con contestuale e definitiva efficacia liberatoria nel caso di assegno circolare, e con efficacia liberatoria postergata alla realizzazione della clausola “salvo buon fine” nel caso di assegno bancario (Trib. Catania, 30 novembre 1987).
I mezzi alternativi di pagamento sono quindi ricondotti alla prestazione in luogo dell’adempimento (art. 1197 c.c.) o alla cessione di credito in luogo dell’adempimento (art. 1198 c.c.) con necessità quindi per il debitore, di norma, di acquisire il consenso del creditore per detta prestazione e la sua liberazione solo a riscossione avvenuta. Sulla base di tali principi si è affermato che l’invio di un assegno circolare al creditore, da parte del debitore obbligato al pagamento di una somma di denaro, si traduce in una datio in solutum (illegittima quando non vi sia il consenso del creditore, ovvero in difetto di una espressa previsione di legge), e rappresenta altresì una violazione del principio secondo cui un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore, in quanto tale modalità implica la sostituzione del luogo di pagamento con la sede dell’istituto bancario presso cui il titolo stesso è riscuotibile (Cass., 10 febbraio 2003, n. 1939). Si veda anche Cass., 6 settembre 2004, n. 17961 “Il debitore che sostituisca il mezzo di pagamento pattuito, costituito dall’assegno circolare, con un versamento tramite bonifico bancario, compie un inesatto adempimento privo, ai sensi dell’art. 1197 c.c., di effetto liberatorio, in quanto non solo effettua il pagamento con un mezzo non equivalente (come lo è invece l’assegno circolare) al danaro contante, ma lo effettua in un luogo diverso da quello pattuito (ossia presso la banca, e non presso il domicilio, del creditore).” Si è quindi affermato che l’invio di assegni (bancari o circolari) o vaglia postali dal debitore al creditore configura una datio in solutum o una datio pro solvendo che solo con l’accettazione del creditore determina l’estinzione dell’obbligazione, salvo poi considerare, in alcune decisioni, accettazione (salvo buon fine) la circostanza che il creditore abbia trattenuto ed incassato l’assegno inviatogli dal debitore, così valorizzando il dovere di correttezza che grava anche sullo stesso. Infatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’invio di vaglia postali da parte del conduttore si configura come una datio pro solvendo, la cui efficacia solutoria dipende dall’accettazione del locatore” (Cass., 5 gennaio 1981, n. 24). Si veda pure, Cass., 16 aprile 1984, n. 2438 “Il pagamento mediante assegni può essere legittimamente rifiutato e non spiega immediata efficacia liberatoria, ma l’accettazione degli stessi a parte creditoris implica il suo consenso a tale modalità di pagamento e l’effetto liberatorio si verifica con la riscossione dei titoli.” IN PRATICA Il debitore è sempre tenuto ad eseguire la prestazione dovuta, salvo che il creditore acconsenta espressamente a ricevere una prestazione diversa.
In questo caso, si verifica una modifica del rapporto obbligatorio, che comporta l’estinzione dell’obbligazione solo nel momento in cui la nuova prestazione sia eseguita. In particolare sono previste due forme di mezzi alternativi di pagamento: – la prestazione in luogo dell’adempimento; – la cessione di credito in luogo dell’adempimento. RICHIEDI CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO |
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Consulenza Legale
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martedì 19 luglio 2016 |
La compensazione è il mezzo attraverso il quale è possibile effettuare una semplificazione dei rapporti tra due soggetti reciprocamente obbligati ed evitare al soggetto che adempie per primo alla propria obbligazione di subire il rischio dell’inadempimento dell’altro soggetto. In presenza di due debiti di due soggetti, l’uno obbligato nei confronti dell’altro (art. 1241 c.c.) e quindi contemporaneamente creditori e debitori l’uno dell’altro, la compensazione determina l’estinzione dei due debiti dal giorno della loro coesistenza (art. 1242 c.c.). L’estinzione sarà integrale per entrambi i debiti, solo se essi hanno lo stesso importo.
Si è affermato che le norme che regolano la compensazione postulano l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, di talché esso non trova applicazione là dove non sussista la predetta autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell’ambito di un’unica relazione negoziale (Cass., 15 ottobre 2004, n. 20324). Quindi qualora le rispettive ragioni di credito e debito abbiano origine da un unico rapporto, la valutazione delle reciproche pretese comporta un mero accertamento contabile, cui il giudice può legittimamente procedere senza che sia necessaria la proposizione di un’eccezione di parte ovvero di una apposita domanda riconvenzionale (Cass., 3 agosto 2004, n. 14808). La compensazione legale ex art. 1243 c.c. si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono egualmente liquidi ed esigibili.
Affinché possa operare la compensazione legale i crediti devono essere: · omogenei: ossia si deve trattare di cose fungibili dello stesso genere; · liquidi: ossia si deve trattare di crediti esistenti e certi nel loro ammontare; · esigibili: ossia si deve trattare di crediti dei quali è possibile richiedere immediatamente il pagamento ed agire in giudizio. Debbono quindi, ad esempio, essere liquidi, scaduti e non sottoposti a condizione sospensiva (quella risolutiva non osta invece alla esigibilità). La dilazione concessa gratuitamente dal creditore non ostacola la compensazione (art. 1244 c.c.), né impedisce la prescrizione di uno dei crediti, se la compensazione non era compiuta quando si era verificata la coesistenza dei due debiti (Cass., 19 novembre 1998, n. 11690). La compensazione, che presuppone la concreta determinazione dei crediti contrapposti dalla quale il giudice non può assolutamente prescindere, non può operare se non è sollevata dalle parti, non potendo il giudice rilevarla d’ufficio (art. 1242 c.c.). La compensazione legale e quella giudiziale si distinguono in quanto la prima presuppone la presenza anteriore alla causa di due debiti liquidi ed esigibili, l’altra richiede che il debito opposto in compensazione non sia liquido, ma di pronta e facile liquidazione; ne consegue che, mentre gli effetti della compensa- zione legale retroagiscono al momento della coesistenza dei debiti, quelli della compensazione giudiziale si verificano ex nunc, ossia dal momento in cui viene pronunciata la sentenza che la dichiara. Per quanto concerne la compensazione legale di crediti ceduti, l’art. 1248 c.c. dispone che il debitore, se ha accettato puramente e semplicemente la cessione che il creditore ha fatto ad un terzo, non può opporre al cessionario la compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente. Come evidenziato in materia di obbligazioni solidali, ciascuno dei debitori in solido può opporre in compensazione il credito di un condebitore, ma solo fino alla concorrenza della parte di quest’ultimo (art. 1302 c.c.). Anche i condebitori in solido sono pertanto legittimati ad eccepire la compensazione nei limiti sopra indicati. Per l’ipotesi di solidarietà attiva, la normativa prevede che il debitore possa opporre in compensazione ad uno dei creditori ciò che gli è dovuto da un altro creditore, ma solo per la parte di questo. Inoltre, l’art. 1251 c.c. prevede che il debitore che ha pagato un debito, pur potendo invocare la compensazione, non possa valersi, in pregiudizio dei terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia ignorato l’esistenza di questo per giusti motivi. La compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell’uno o dell’altro debito, eccettuati i seguenti casi, disciplinati dall’art. 1246 c.c. (che si ritiene operino sia per la compensazione legale che per la giudiziale): · – di credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato; · – di credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato; · – di credito dichiarato in tutto impignorabile o solo in parte; · – di rinunzia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore; · – di divieto stabilito dalla legge (così ad esempio in materia di alimenti, ai sensi
dell’art. 447 c.c.).
Perché venga dichiarata operante la compensazione giudiziale, il soggetto legittimato deve innanzi tutto aver proposto la relativa istanza (che, di norma, costituisce oggetto di eccezione processuale). Se il debito opposto in compensazione non è liquido, ma è di facile e pronta liquidazione, e non si verte nelle ipotesi sopra esaminate, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all’accertamento del credito opposto in compensazione. La Corte di Cassazione ha affermato che la compensazione giudiziale prevista dall’art. 1243 c.c., presuppone l’accertamento del contro-credito da parte del giudice innanzi al quale la compensazione medesima è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso; in tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale (Cass., 17 gennaio 2001, n. 580). La compensazione può anche aver luogo quando non sussistono i requisiti, già esaminati, per la compensazione legale e giudiziale, se in tal senso è la volontà delle parti. Detta volontà può essere manifestata anche preventivamente con indicazione delle relative condizioni (art. 1252 c.c.) e quindi delle caratteristiche che i crediti futuri dovranno avere per essere compensabili. La compensazione volontaria si concretizza in un negozio bilaterale diretto ad elidere le reciproche ragioni di credito, previo riconoscimento della loro esistenza; l’eccepibilità di detta compensazione, pertanto, postula la dimostrazione di un incontro della volontà delle parti nel senso indicato (Cass., 12 gennaio 1984, n. 253). IN PRATICA Due soggetti, reciprocamente creditore e debitore l’uno dell’altro, possono estinguere le loro obbligazioni attraverso l’istituto della compensazione legale, nel caso in cui i debiti abbiano per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili caratterizzate da: – omogeneità; – liquidità; – esigibilità. È tuttavia possibile ricorrere alla compensazione giudiziale anche quando non sussistano i suddetti requisiti e alla cd. compensazione volontaria che presuppone l’accordo delle parti e l’espressa indicazione delle condizioni e delle peculiarità che i crediti dovranno avere per poter essere compensabili. RICHIEDI CONSULENZA SU QUESTO ARGOMENTO |
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