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È nullo il mutuo contratto per ripianare i pregressi debiti con la banca PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
domenica 22 ottobre 2017

È nullo il mutuo contratto per ripianare i pregressi debiti con la banca? Dipende…

Il mutuo di scopo è nullo, e la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, quando sia stato stipulato con l’accordo, tra l’istituto di credito e il mutuatario, della utilizzazione della provvista per una diversa finalità, ivi compresa quella di estinguere debiti in precedenza contratti dal sovvenuto verso lo stesso istituto mutuante.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Presidente AMBROSIO ANNAMARIA

Relatore TERRUSI FRANCESCO

ha pronunciato la seguente: Ordinanza n. 24699 dep. il 19 ottobre 2017

Rilevato che:

Interbanca s.p.a. chiese di essere ammessa al passivo del fallimento di Alimentare s.r.l. (dichiarato il 1°-12-2004), in privilegio ipotecario, sulla base di due contratti di finanziamento a medio termine stipulati il 9-12-1996 e il 18-5-2000; la domanda venne respinta sul rilievo che si trattava di "mutuo di scopo con simulazione parziale e conseguente nullità della causa per frode alla legge", giacché le somme erano state utilizzate "per coperture di pregresse esposizioni bancarie e non, piuttosto, per gli obiettivi della convenzione"; Interbanca proponeva opposizione ai sensi dell'art. 98 della legge fall., e il tribunale di Noia, in parziale accoglimento, riconosceva solo il credito insinuato in base al primo finanziamento; quanto al secondo, il tribunale rigettava l'opposizione osservando che il finanziamento era stato destinato "alla copertura finanziaria di investimenti immateriali per la produzione di nuovi prodotti", donde doveva essere qualificato come mutuo di scopo parzialmente simulato, nullo per difetto di causa poiché le parti avevano pattuito che la provvista fosse poi in verità destinata ad altro scopo, vale a dire al ripianamento delle preesistenti esposizioni debitorie della mutuataria verso il ceto bancario; la sentenza, su gravame della banca, veniva riformata dalla corte d'appello di Napoli; per quanto in effetti rileva, la corte d'appello osservava che (i) indubbiamente il contratto doveva si ritenere simulato nella parte concernente la destinazione del finanziamento apparentemente pattuita dalle parti, ma che (il) ciò semplicemente comportava che tra le parti dovesse ritenersi efficace il contratto dissimulato, vale a dire quello contenente la clausola di destinazione del finanziamento realmente voluta; sicché (iii) tale contratto non poteva dirsi nullo per difetto di causa, avendo trovato la sua giustificazione giuridico- economica proprio o anche nella realizzazione dello scopo perseguito mediante il patto di distrazione delle somme dalla loro destinazione apparente; per conseguenza la corte distrettuale reputava irrilevante stabilire se si fosse stati in presenza di un mutuo di scopo e di un correlato patto di distrazione della somma mutuata dalla destinazione apparente, giacché pure qualora a tali questioni fosse stata data soluzione positiva il contratto parzialmente dissimulato, e realmente voluto, non si sarebbe potuto considerare nullo per difetto di causa; per la cassazione della sentenza, notificata il 30-6-2011, la curatela del fallimento ha proposto ricorso affidato a due motivi; Ge Capital s.p.a., già Interbanca s.p.a., ha replicato con controricorso e successiva memoria. Considerato che:

col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 1414, secondo comma, cod. civ., la ricorrente censura la sentenza per aver svilito la figura del mutuo di scopo nel suo aspetto patologico, mediante la scomposizione dei negozi simulato e dissimulato; col secondo motivo, deducendo la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., la ricorrente censura inoltre la sentenza perché la banca, sia in primo grado che in appello, non aveva mai parlato di negozio dissimulato, ma si era semplicemente preoccupata di dimostrare che nella fattispecie non ricorresse la figura del mutuo di scopo; per cui la questione relativa alla ritenuta liceità del negozio dissimulato era stata dalla corte d'appello affrontata d'ufficio, senza il rispetto del principio del contraddittorio; è opportuno muovere da questa seconda doglianza, al fine di dire che essa è totalmente infondata: la sottostante questione atteneva infatti alla qualificazione giuridica del contratto inter partes, e tale questione era stata direttamente consegnata all'oggetto del processo dalla motivazione del diniego di ammissione del credito al passivo del fallimento; il che d'altronde ben si evince dalla motivazione della sentenza del tribunale di cui è menzione nel controricorso, stante che lo stesso tribunale aveva posto il problema della eventualità di una "parziale simulazione del mutuo del 18-5-2000", risolvendolo nell'alveo della ritenuta prevalenza della tesi della nullità del contratto per difetto di causa; pertanto non ha fondamento insistere sulla violazione del diritto al contraddittorio, salvo per completezza aggiungere che la tesi della curatela è inconsistente finanche sul piano generale, in base al principio secondo cui non sussiste la nullità della sentenza quando il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto senza procedere alla sua segnalazione alle parti, onde consentire su di essa l'apertura della discussione (cd. terza via), in quanto (ove anche indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio diverso dal comune error iuris in iudicando, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore si sia in concreto consumato (cfr. per tutte Cass. Sez. U n. 20935-09); più articolato discorso è da fare in ordine al primo motivo di ricorso; il primo motivo è invero inammissibile per difetto di autosufficienza in ordine al presupposto, anche se l'impugnata sentenza va integrata nella motivazione, e in parte corretta, per quanto attiene all'istituto del mutuo di scopo; il problema posto dalla curatela fallimentare attiene alla eccepita nullità del contratto che aveva costituito il titolo dell'insinuazione; quel contratto - si dice - costituiva un mutuo di scopo convenzionale, e le parti, deviando dallo scopo, lo avevano disatteso col fine di estinguere esposizioni bancarie pregresse; a fronte di ciò, la critica mossa alla sentenza d'appello è di aver separatamente considerato l'anzidetta finalità rispetto al mutuo in quanto tale, atteso che la dissimulazione aveva rappresentato il mezzo tramite il quale concretare una deviazione della clausola di destinazione delle somme mutuate; può osservarsi che la motivazione della sentenza impugnata registra, da simile punto di vista, un'aporia nella parte in cui ha testualmente ritenuto non necessario qualificare il contratto che le parti avevano stipulato; in proposito la corte napoletana così si è espressa: "non c'è bisogno (...) di stabilire se nella specie si sia veramente in presenza di un cd. mutuo di scopo e di un correlato patto di distrazione della somma mutuata dalla destinazione apparente verso altra e reale destinazione, giacché, pure qualora a tali questioni si desse soluzione positiva, il contratto in questione - o meglio quello parzialmente dissimulato che il tribunale assume realmente voluto dalle parti - certamente non potrebbe dirsi nullo per difetto di causa"; ciò di cui la corte d'appello non si è avveduta è che l'eventualità di un accordo in ordine alla effettiva diversa destinazione della somma mutuata, se chiaramente espresso contestualmente alla stipula del mutuo, può incidere sulla causa del contratto che contempli il fine di destinazione; questo essendo il tema della controversia, era dunque necessario, diversamente da quanto ritenuto dalla corte territoriale, previamente stabilire se quello inter partes fosse in effetti un mutuo di scopo; nella giurisprudenza di questa Corte è stata da tempo messa a fuoco la figura giuridica del mutuo di scopo, tanto nella versione cd. legale, quanto in quella cd. convenzionale, nel senso che in entrambi i casi la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale; sicché la nullità di un tale contratto per mancanza di causa sussiste se (e solo se) quella destinazione non sia rispettata (v. tra le più recenti Cass. n. 25793-15); la carenza argomentativa della corte d'appello può tuttavia essere semplicemente corretta in questa sede, giacché il ricorso, in mancanza di specificazione in ordine all'effettivo contenuto del contratto, non soddisfa il fine di autosufficienza onde potersi affermare che nella specie il finanziamento rientrasse nel paradigma del mutuo di scopo; per una corretta rappresentazione del profilo è opportuno sottolineare che il mutuo di scopo è preordinato alla realizzazione di una finalità convenzionale necessaria, tale da contrassegnare la funzione consistente nel procurare al mutuatario i mezzi economici destinati a un'utilizzazione vincolata (v. Cass. n. 12123-90); l'elemento caratterizzante è che una somma di danaro viene concessa al mutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, la quale in tal modo entra a far parte del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. n. 317-01 e prima ancora Cass. n. 2876-88); per tale ragione il mutuo di scopo si differenzia dallo schema tipico del contratto di mutuo: dal punto di vista strutturale, visto che il sovvenuto si obbliga non solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto con l'attuazione in concreto dell'attività programmata; e dal punto di vista funzionale, poiché nel sinallagma assume rilievo essenziale anche quest'ultima prestazione, in termini corrispettivi dell'ottenimento della somma erogata (e v. Cass. n. 5805-94; Cass.n. 7116-98); essendo la disponibilità finanziaria concessa in vista della sua utilizzazione esclusiva per lo scopo convenuto, è esclusa ogni diversa volontaria destinazione delle somme, ivi compresa, in particolare, quella della estinzione di pregresse passività del mutuatario (v. Cass.n. 317-01; Cass. n. 2796-72);

sicché il mutuo di scopo è nullo, e la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, quando sia stato stipulato con l'accordo, tra l'istituto di credito e il mutuatario, della utilizzazione della provvista per una diversa finalità, ivi compresa quella di estinguere debiti in precedenza contratti dal sovvenuto verso lo stesso istituto mutuante; il punto centrale del discorso è allora questo: che in tutti i casi in cui sia dedotta l'esistenza di un mutuo di scopo convenzionale (come nella specie) è pur sempre necessario che la clausola di destinazione della somma mutuata incida sulla causa del contratto, finendo per coinvolgere direttamente anche l'interesse dell'istituto finanziatore: qualora venga prevista nel contratto di finanziamento una destinazione delle somme erogate per esclusivo interesse del mutuatario, si realizzerebbe infatti semplicemente una esteriorizzazione dei motivi del negozio, di per sé non comportante una modifica del tipo contrattuale; e in tal caso non si può parlare di mutuo di scopo (sebbene uno scopo, in senso lato, vi sia ovviamente per il sovvenuto), poiché la mera indicazione dei motivi, non accompagnata da un programma contrattuale teso alla loro realizzazione, non è di per sé idonea a modificare il tipo negoziale; proprio per ciò questa Corte ha più volte affermato che il mutuo (o il finanziamento) fondiario non è un mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall'istituto mutuante debba essere necessariamente destinata a una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire; né - si è detto - l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato, quel mutuo, dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili ( rustici o urbani ) a garanzia ipotecaria (cfr. Cass. n. 9511-07; Cass. n. 4792-12); invece, giustappunto in quanto caratterizzato nel senso sopra detto, il mutuo di scopo convenzionale è un contratto consensuale parzialmente diverso dal mutuo ex art. 1813 cod. civ. (v. per utili riferimenti Cass. n. 25180-07), attesa la sua diversa funzione e atteso che il requisito per tale sua classificazione è l'esistenza di un interesse (anche) del mutuante alla destinazione delle somme (v. per il credito agevolato Cass. n. 1369-16); per cui in definitiva:

(a) ove manchi un interesse del mutuante, sul mutuatario non grava uno specifico obbligo di destinazione delle somme erogate;

(b) la deviazione dal tipo contrattuale di cui all'art.1813 cod. civ. si può affermare quando vi sia la prova di un obbligo specifico del mutuatario nei confronti del mutuante, in ragione dell'interesse di quest'ultimo - diretto o indiretto - alla specifica modalità di utilizzazione delle somme per un determinato scopo;

(c) negli altri casi, ove cioè la prova di consimile situazione non sia fornita, l'inosservanza della destinazione indicata in contratto non rileva ai fini della validità o meno del contratto stesso; così ricostruita la tematica nei suoi termini generali, è da puntualizzare che niente sorregge la qualificazione della fattispecie in esame come mutuo di scopo; difatti l'unico elemento che risulta dalla sentenza impugnata (peraltro de relato dal tribunale) è che il contratto inter partes era stato destinato "alla copertura finanziaria degli investimenti immateriali per la produzione di nuovi prodotti"; niente altro emerge dal ricorso, visto che il testo della convenzione negoziale non è stato ivi riportato; è allora risolutivo osservare che l'espressione appena detta non è in alcun modo indicativa della circostanza che tra le parti sia stato convenuto un mutuo di scopo; la mancanza di ogni riferimento al testo contrattuale mina il ricorso sul versante dell'autosufficienza, non consentendo di apprezzare la premessa maggiore del sillogismo al quale parte ricorrente ha affidato la censura, visto che la ratio dell'impugnata sentenza è nel distinto senso che il mutuo era stato concesso con garanzia ipotecaria per lo specifico e dissimulato fine di ripianare preesistenti passività: vale a dire con una finalità inespressa di rafforzamento della garanzia a fronte di un rischio di credito già in atto, pregiudizievole (al limite) per gli altri creditori (v. Cass. n. 3955-16), ma certo non incidente sulla validità della figura contrattuale tipica ex art. 1813 cod. civ.; consegue il rigetto del ricorso; le spese seguono la soccombenza.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Deciso in Roma, addì 22 giugno 2017

 

 

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Pignoramento: che succede al fondo patrimoniale? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
domenica 22 ottobre 2017

Io e mia moglie abbiamo costituito un fondo patrimoniale con la casa e siamo in regime di separazione dei beni. Alla morte di uno, il consorte conserva il diritto d’uso anche se c’è un tentativo di pignoramento?

Nel rispondere alla richiesta è necessario premettere che il fondo patrimoniale è quel complesso di beni immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, destinato a far fronte ai bisogni della famiglia. La peculiarità del fondo patrimoniale attiene al regime giuridico cui i beni vincolati sono sottoposti. Più in particolare, i beni che costituiscono il fondo patrimoniale:

·         non possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice [1];

·         non possono essere aggrediti dai creditori dei coniugi qualora essi fossero a conoscenza che il debito era stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia [2];

·         i frutti provenienti dai beni del fondo possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia.

Il fondo patrimoniale può essere oggetto di azione revocatoria. Quest’ultima rientra tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e legittima il creditore a chiedere che gli atti di disposizione del patrimonio del debitore, con i quali questi rechi pregiudizio al suo credito, vengano dichiarati inefficaci. La dichiarazione di inefficacia produce effetti soltanto in favore del creditore procedente in giudizio pur rimanendo l’atto di disposizione valido ed efficace nei confronti dei terzi. Il codice civile subordina l’esercizio dell’azione revocatoria all’esistenza di due presupposti:

·         l’eventus damni, cioè il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore dall’atto di disposizione patrimoniale;

·         la scientia damni, cioè la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore, oppure – qualora l’atto di disposizione patrimoniale sia anteriore al sorgere del credito – l’animus nocendi, cioè la dolosa preordinazione dell’operazione negoziale al fine di arrecare il pregiudizio indicato [3].

L’azione revocatoria si prescrive nel termine di cinque anni dalla data di compimento dell’atto di disposizione patrimoniale. È bene, inoltre, aggiungere che il fondo patrimoniale non ha durata illimitata nel tempo, bensì il codice civile prevede espressamente le ipotesi di scioglimento del fondo stabilendo che la destinazione dello stesso termina in presenza di uno dei seguenti casi:

·         annullamento del matrimonio;

·         scioglimento del matrimonio;

·         cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Si ha scioglimento del matrimonio:

·         nel caso di morte di uno dei coniugi;

·         nel caso di separazione personale dei coniugi.

Tuttavia è bene ricordare che, se vi sono figli minori, il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio.

Premesso che con la morte di uno dei coniugi il fondo patrimoniale si scioglie e quindi non è più opponibile agli eventuali creditori per tutelare i propri beni da una possibile azione esecutiva, il quesito posto attiene alla possibilità del coniuge superstite di continuare ad abitare nella casa familiare dopo il decesso dell’altro coniuge. Ebbene, al coniuge superstite è riservato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare nonché il diritto di uso sui beni mobili che la corredano, qualora la casa sia di proprietà del defunto o sia di proprietà comune. Dalla norma citata deriva la logica conseguenza che, se la proprietà dell’immobile adibito a residenza familiare è divisa in parti uguali tra i coniugi in regime di separazione coniugale, al momento della morte di uno, l’altro erediterà il diritto di abitazione sulla metà spettante al coniuge defunto. Il problema che si pone nel caso del lettore però è se il diritto di abitazione può essere fatto valere nei confronti dei creditori. Ebbene, poiché lui scrive che il regime patrimoniale adottato da lui e da sua moglie è quello della separazione dei beni, è opportuno precisare che, in costanza di tale regime, ciascuno dei coniugi risponde esclusivamente delle obbligazioni assunte personalmente, salvo che l’obbligazione sia stata assunta congiuntamente. Peraltro, i coniugi in regime di separazione dei beni ben possono decidere di acquistare un bene in comproprietà: in tal caso però non si sarà in presenza di una comunione legale bensì di una comunione ordinaria in base alla quale ciascun partecipante alla comunione è proprietario di una quota del bene di cui è titolare. In altre parole, nel caso di acquisto di un bene in comune, poiché ciascuno dei coniugi è proprietario solo di una quota del bene, è con quella quota che risponderà dei debiti contratti nei confronti dei terzi. L’unica eccezione è ravvisata dalla giurisprudenza nel caso di obbligazioni contratte da un coniuge per soddisfare bisogni primari della famiglia (quali, ad esempio, esigenze di salute di un figlio): in tal caso dell’obbligazione contratta risponderanno entrambi i coniugi. Di conseguenza, qualora il coniuge che muore per primo sia il debitore, i creditori potranno soddisfarsi soltanto sulla quota dell’immobile di proprietà del loro debitore e non sulla metà di cui è proprietario il coniuge superstite. È importante ricordare che il regime di separazione dei beni è opponibile ai creditori soltanto qualora sia stato debitamente trascritto a margine dell’atto di matrimonio. Quanto al diritto di abitazione che il coniuge superstite può vantare sulla quota del bene immobile dell’altro coniuge, secondo la disciplina dettata dal nostro codice civile il diritto di abitazione non è suscettibile di essere sottoposto ad ipoteca né può formare oggetto di pignoramento o di sequestro. Purtuttavia il creditore, al fine di soddisfare il proprio diritto, può sempre avviare un’azione esecutiva pignorando il bene immobile del proprio debitore sul quale grava un diritto di abitazione in favore di altro soggetto. In tale ipotesi le servitù iscritte dopo l’iscrizione di un’ipoteca non sono opponibili al creditore ipotecario: analoga regola vale per il creditore pignorante rispetto al quale hanno effetto solo gli atti di disposizione trascritti prima del pignoramento. Il legislatore precisa che la stessa disposizione si applica per i diritti di uso, di usufrutto e di abitazione. In altre parole, al fine di poter opporre al creditore pignorante il diritto di abitazione è necessario che la costituzione del diritto sia stata trascritta prima dell’inizio dell’azione esecutiva. In conclusione, qualora il coniuge superstite non sia il debitore, al fine di poter opporre il diritto di abitazione acquisito per successione ereditaria dell’altro coniuge, è necessario che proceda alla trascrizione dello stesso prima che il creditore avvii la procedura di pignoramento. In ultimo, che al fine di evitare di subentrare nella posizione del de cuius – ereditando quindi tutti i debiti – è opportuno che il coniuge superstite accetti l’eredità con beneficio d’inventario.

Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Giovanna Pangallo

note

[1] Art. 168 cod. civ.

[2] Art. 169 cod. civ.

[3] Art. 2901 cod. civ.

22 ottobre 2017

 
Mutuo senza interessi PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
mercoledì 18 ottobre 2017

Gratis il mutuo se il consulente del giudice dice che il tasso è superiore all’usura.

Ti piacerebbe avere un mutuo gratis, ossia un mutuo senza interessi? Stando alle ultime sentenze della Cassazione e dei giudici di merito è tutt’altro che difficile quando un consulente accerta che è stato applicato un tasso di interessi superiore all’usura. E ciò vale sia che l’usura riguardi gli «interessi moratori» (quelli che scattano in caso di ritardato pagamento) che gli «interessi corrispettivi» (quelli cioè addizionati alla normale rata del mutuo). In presenza di una clausola illegittima (come ad esempio quella che prevede l’anatocismo o l’usura), il contratto di mutuo non è nullo, ma gli interessi non sono più dovuti. Risultato: un prestito senza interessi è per definizione «gratuito». Ma procediamo con ordine e vediamo come trasformare il proprio finanziamento in un mutuo senza interessi.

Come calcolare l’usura

La prima cosa da fare è affidare, a un tecnico del settore, il contratto e gli estratti conto del proprio prestito affinché valuti se il tasso di interesse applicato dalla banca è superiore all’usura. Sono «usurari» gli interessi che superano del 50% il tasso medio, determinato con decreto del Ministero del Tesoro ogni tre mesi.

Quale strategia contro la banca?

A questo punto bisognerà scegliere la strategia: attaccare o difendersi? In altre parole conviene attendere che sia la banca a fare la prima mossa e a notificare un atto di precetto al debitore oppure si vuole agire per primi con un’azione volta alla dichiarazione della nullità della clausola sugli interessi? La scelta può essere rimessa al debitore il quale, in entrambe le situazioni, dovrà anticipare le spese dell’accertamento (consulenza tecnica).

Come fa il giudice a capire che c’è stata usura?

Giova segnalare una sentenza del Tribunale di Padova [1] secondo cui il giudice può condannare la banca per gli interessi usurari sul conto corrente o sul finanziamento semplicemente riportandosi alla consulenza tecnica d’ufficio eseguita dal consulente del giudice. Ciò basta per far scattare la restituzione delle somme versate dal cliente sino a quel momento a titolo di interessi e la segnalazione alla Procura della Repubblica per il reato di usura [2] ai danni dei vertici della banca. Il giudice che aderisce alla Ctu, infatti, non deve spiegare, in modo specifico, le ragioni del suo convincimento: gli basta indicare le motivazioni della perizia.

Mutui gratis se la mora supera il tasso usura

Un’ordinanza della Cassazione di qualche giorno [3] fa ha stabilito che, in presenza di interessi moratori superiori all’usura, il cliente deve restituire soltanto il capitale senza alcun tipo di interessi. Se in un contratto di mutuo il tasso moratorio (quello previsto per il ritardato pagamento delle rate) è sopra la soglia d’usura, ma gli interessi corrispettivi (cioè quelli “normali” dovuti alla banca) sono inferiori alla predetta soglia, la banca deve restituire tutti gli interessi (sia moratori sia corrispettivi) pagati dal cliente e il mutuo diventa gratuito: pertanto il cliente è tenuto a restituire solo il capitale. Un bel vantaggio che va a colpire soprattutto i mutui di lunga durata, sui quali la voce «interessi» pesa particolarmente.

Questo principio appena affermato dalla Cassazione è tuttavia in contrasto con numerose altre sentenze precedenti secondo le quali, in presenza di interessi moratori usurari, l’istituto di credito è tenuto a restituire soltanto quelli moratori, mentre il cliente resta obbligato a versare quelli corrispettivi (sotto la soglia dell’usura).

Dunque, secondo l’ultima posizione assunta dalla Suprema Corte, in caso di usura, anche se ad essere sopra la soglia è soltanto il tasso moratorio, scatta la gratuità completa del mutuo. Per cui non bisogna pagare né gli interessi moratori, né quelli corrispettivi; e, se già corrisposti, questi vanno restituiti al mutuatario.

note

[1] Trib. Padova, sent. n. 2352/17.

[2] Art. 644 cod. pen.

[3] Cass. ord. n. 23192/17 del 4.10.2017.

Ultimo aggiornamento ( martedì 14 novembre 2017 )
 
La casa al riparo dai debiti col fisco ed Equitalia: donazione o vendita? PDF Stampa E-mail
Consulenza Legale
mercoledì 07 settembre 2016


Ho maturato un debito per un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate e per proteggere la casa da eventuali pignoramenti di Equitalia, il notaio ci ha sconsigliato la donazione, perché sarebbe soggetta a revocatoria; ci è stato detto che la vendita a terzi è più sicura, ma se i soldi della vendita spariscono scatterebbe un reato. Posso vendere la casa ai miei figli, pagandola al prezzo di mercato?

 

L’azione revocatoria, che il creditore può proporre entro cinque anni dal compimento dell’atto di cessione del bene immobile, può essere esperita tanto nel caso di vendita quanto di donazione. È corretto quello è stato detto al lettore con riferimento, quindi, alla donazione, ma ciò vale anche nel caso di vendita. Con alcune precisazioni, di non poco conto che dovrebbero, comunque, portare a preferire sempre la vendita.

Nel solo caso di donazione (non quindi per la vendita), se il creditore iscrive il proprio pignoramento immobiliare entro un anno dalla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di cessione dell’immobile al donatario, può pignorare la casa anche senza bisogno di azione revocatoria, ma in via diretta nei confronti del nuovo titolare (appunto il donatario). È questa una possibilità offerta dall’ultima riforma della giustizia del 2015 [1]. Oltre il termine di un anno, però, restano ancora altri 4 anni per esercitare la revocatoria ordinaria (termine che, come detto, è di complessivi 5 anni dall’atto).

Nel caso di vendita, invece, l’azione revocatoria – che, come anticipato, è comunque esperibile nei cinque anni successivi alla trascrizione dell’atto – è più difficile perché il creditore ha un onere della prova più complesso davanti al giudice. Cercherò di illustrarli qui di seguito.

I requisiti soggettivi per l’ammissibilità dell’azione revocatoria richiedono, tanto per la donazione, quanto per la vendita, la prova che il debitore fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore o che, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto stesso fosse dolosamente preordinato al fine specifico di frode [2]. La consapevolezza del pregiudizio consiste nella coscienza di non aver altri beni sui quali i creditori potrebbero soddisfarsi.

Però, se per la revocatoria della donazione è sufficiente dimostrare quanto appena detto per rendere inefficace l’atto, per la revocatoria della vendita (a chiunque effettuata, sia a terzi che a parenti) richiede un’ulteriore prova: la consapevolezza, anche nel terzo acquirente, che, mediante l’atto di disposizione, il debitore diminuisca il proprio patrimonio, e quindi la garanzia spettante ai creditori in modo tale da recare pregiudizio alle ragioni di costoro; la relativa prova può essere data anche mediante presunzioni [3]. Insomma è necessario provare la consapevolezza anche da parte del terzo del pregiudizio arrecato al creditore. Una prova che, certamente, è più facile dare con riferimento a familiari – che potrebbero essere a conoscenza dei debiti del proprio parente – che non rispetto a terzi estranei, che nulla sanno in merito alle vicende personali del debitore.

Si richiede, comunque, che il rimanente patrimonio del debitore non offra sufficiente garanzia; in caso contrario, non vi è danno per il creditore.

Nel caso di vendita, tuttavia, la normativa sull’antiriciclaggio richiede lo spostamento effettivo del denaro da un conto a un altro: il tutto, quindi, non potrebbe avvenire “fittiziamente” tra le parti; sarebbe peraltro palese lo scopo elusivo e, dunque, il giudice potrebbe qualificare l’atto di vendita come una simulata donazione, assoggettandola al regime giuridico di quest’ultima.

Alternativa alla vendita a terzi – che presenterebbe maggiori garanzie sul piano giuridico per chi si spoglia del bene – è il trust, sebbene i costi dell’operazione lo rendano appropriato solo per rilevanti patrimoni.

È anche vero – come riferisce il lettore – che, in caso di sottrazione della somma derivante dalla vendita, il debitore incorre nel reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

In ultimo, si fa presente che l’ipoteca non è una misura di pignoramento o di esecuzione forzata, ma solo una garanzia a favore del creditore, che nulla toglie alla proprietà o alla disponibilità del bene da parte del debitore. Quest’ultimo quindi potrebbe continuare a vivere nell’immobile, usarlo e persino alienarlo nonostante la predetta ipoteca. Si tenga poi conto che, se si tratta dell’unico immobile di proprietà del debitore, adibito ad abitazione e residenza (purché non di lusso), esso non potrà mai essere pignorato da Equitalia. Sicché l’ipoteca costituirà solo una misura “virtuale”, con scarsi effetti pratici. Se, dunque, il debitore è intestatario di altre case, potrebbe tutt’al più pensare di alienarle in modo da rimanere titolare di un unico immobile, rendendolo così impignorabile da Equitalia.

 

[1] Approvata con D.l. n. 83/2015.

[2] Art. 2901 cod. civ.

[3] Cass. sent. n. 8930/1987, n. 4077/1996.

 

 

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Il Crowdfunding: un nuovo strumento di finanziamento per diversi tipi di utenti PDF Stampa E-mail
Consulenza Aziendale
giovedì 04 agosto 2016

Una forma di finanziamento “dal basso” che potrà esser utile a ogni tipo di investitore

Si chiama  ed è una nuova forma di finanziamento che, partendo “dal basso”, ha già permesso a molti di portare avanti il proprio progetto con successo, rilevandosi come uno degli strumenti più innovativi dell’era digitale.

Cosa c’è alla base? Il progetto collaborativo per uno sforzo comune

Dall’inglese (crowd = folla e Funding = finanziamento) questo innovativo strumento riprende un principio antico: il processo collaborativo di più persone che decidono di sostenere uno sforzo comune per la realizzazione di un progetto in cui credono. Una raccolta fondi non tesa, tuttavia, esclusivamente a scopi di beneficienza, ma anche a veri e propri investimenti finanziari e imprenditoriali.

Caratteristiche del Crowdfunding

Principale caratteristica di tale strumento di raccolta è il suo esser interamente basata sul web, per il tramite di piattaforme specializzate.

Il procedimento è relativamente semplice: l’ideatore o gli ideatori del progetto lo illustrano, indicando la somma necessaria per la realizzazione e, per alcune tipologie di crowdfunding, la remunerazione prevista per chi contribuirà nella raccolta fondi con il proprio contributo. Tale remunerazione può consistere in una quota di partecipazione o in semplici beni materiali. Il resto lo fa il web ed in particolare i Social network, piazza virtuale nella quale il rimbalzare della notizia permette una diffusione globale della campagna.

Il crowdfunding ed i social network

I social network rappresentano probabilmente il vero punto di forza, la leva e la ragione del successo di questa tipologia di metodo di finanziamento. Si ripropone, evidentemente, lo schema della raccolta fondi in piazza. L’uomo col megafono l’idea benefica; l’artista espone la propria opera; il musicista suona la propria musica offrendo il disco e “porgendo il cappello” per chiedere l’offerta di sostegno, per continuare la propria produzione.

La piazza, oggi, è la piazza virtuale. Il social network con il suo essere realtà parallela, con i pro e contro, diventa oggi mercato e luogo di prova delle proprie capacità. Il web, la condivisione, ma soprattutto la forza e l’innovatività della propria idea fa il resto. Perché nella totale libertà del web solo un’idea forte e un progetto valido può far breccia ed emergere nella moltitudine. Sotto questo punto di vista infatti il social network diventa un’enorme mercato con un’infinita offerta, e naturalmente più grande è il mercato, maggiori sono le difficoltà.

Le diverse tipologie di crowdfunding

Vediamo le differenti tipologie di crowdfunding, ciascuna indirizzata ad un tipo di utente promotore, nonché a differenti tipi di finanziatori: ogni tipologia ha infatti dei corrispettivi specifici in cambio della quota monetaria ricevuta.

·         Equity based: Questa tipologia di finanziamento prevede per gli investitori non professionali una quota di partecipazione nel capitale dell’impresa. Si tratta probabilmente della forma di crowdfunding più vicina alle tradizionali forme di partecipazione societaria. L’investitore diventa socio minoritario della società che porta avanti il progetto, dà una quota monetaria e riceve come remunerazione una partecipazione in società

·         Il Donation-based: è una tipologia di Crowdfunding è basata sui c.d. atti di liberalità, negozi giuridici a titolo gratuito caratterizzati da uno spirito di liberalità. La donazione, dal quale prende il nome tale tipo di crowdfunding, è la categoria principe di questi atti. L’investitore non riceve alcun tipo di ricompensa, alcun premio in cambio del proprio denaro: sostiene una causa, crede in un progetto o un obiettivo finale: ritiene, pertanto di contribuire materialmente a tale progetto. Si tratta pertanto di una modalità tipica degli enti No-profit e del terzo settore.

·         Il Lending based: in tale forma di crowdfunding gli investitori vengono ripagati nel tempo del loro investimento; è una sorta di investimento a lungo termine che trova il suo margine di redditività negli interessi che vengono concordati al momento dell’accordo tra investitore e azienda. Per le sue caratteristiche si propone come una valida alternativa al credito bancario

·         Il Reward based: è un tipo di crowdfunding basato su una ricompensa (reward), generalmente consistente in un’unità di prodotto o altri pacchetti, oppure un servizio particolare fornito dall’impresa. Particolarmente adatto per le start-up

Con che modalità si svolge la raccolta?

Per diverse tipologie di investitori ed emittenti si propongono anche differenti modalità di raccolta, a seconda della propensione al rischio degli utenti.

·         All or nothing – La somma target indicata dall’impresa o startup o dall’aspirante imprenditore deve essere raggiunta entro un periodo di tempo ben definito. Il mancato raggiungimento di tale somma denota il fallimento della campagna, con la conseguenza che le transazioni non avverranno: il denaro, quindi, resterà sul conto dei sostenitori, o verrà in ogni caso restituito.

·         Keep it all- Letteralmente “prendi tutto”. Tale modello è l’opposto del precedente: in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo prefissato entro la scadenza stabilita le risorse finanziarie ottenute rimangono nella società emitente

·         All and more: come nella modalità “All or nothing”, nel caso in cui l’obiettivo non venga raggiunto le somme vengono restituite; tuttavia, nel caso in cui l’obiettivo venisse raggiunto il progetto sarà esente da alcuni pagamenti

Posso fidarmi delle piattaforme di raccolta?  

La risposta è: assolutamente si. Ciò per un semplice motivo: ognuna di queste piattaforme deve esser registrata presso uno specifico elenco sotto il controllo esclusivo della CONSOB. L’organo di vigilanza delle società e della Borsa ha criteri molto rigidi, che partono da uno screening iniziale di coloro i quali si candidano alla gestione del portale. Una forte vigilanza in entrata che guarda non solo alle caratteristiche della società-persona giuridica, ma anche e soprattutto dei singoli soggetti facentene parte, primi tra tutti gli amministratori. Per diventare gestore di un portale, infatti, sarà necessario dimostrare di possedere tutti i requisiti di onorabilità e professionalità richiesti dal Regolamento Consob. Requisiti che dovranno esser mantenuti durante tutto lo svolgimento di attività del gestore, pena la decadenza della stessa. Si affianca così ad una fase di screening pre ingresso un’attività rigida di monitoring, nell’interesse tanto degli emittenti quanto degli investitori .

 

 

 

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