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La banca mette a sofferenza il debito: che significa? PDF Stampa E-mail
Scritto da Nicola Tartaglia   
mercoledì 29 giugno 2016

La banca può certificare alla Centrale Rischi il fallimento del cliente che non riesce a restituire un prestito. Ma non basta un momento di crisi temporanea.

In banca come dal dottore: una cosa è avere un disturbo passeggero, che prima o poi guarisce con una medicina. Un’altra ben diversa è una malattia che provoca sofferenza permanente e dalla quale, purtroppo, è difficile guarire. Al medico, il compito di distinguere tra queste due situazioni ed agire di conseguenza.

Con il debito bancario succede lo stesso. Solo che, ogni tanto, la banca sbaglia la “diagnosi” ed il cliente si ritrova formalmente in “stato di sofferenza” perché non riesce a pagare il debito contratto con l’istituto (un fido, un prestito personale, un mutuo).

Che cos’è lo stato di sofferenza bancaria

Un debito bancario viene definito in sofferenza quando la riscossione da parte della banca non è certa per una situazione di insolvenza del cliente. Tuttavia, una temporanea crisi di liquidità (quel “disturbo passeggero” citato prima nell’esempio) non legittima l’istituto a segnalare alla Centrale Rischi della Banca d’Italia una situazione di sofferenza del cliente. Può darsi che quest’ultimo, pur pagando in ritardo, riesca a trovare una soluzione in tempi brevi e a sanare il suo debito.

Per far scattare la sofferenza bancaria, dunque, il cliente deve trovarsi in una situazione di grave crisi economica o di fronte ad un indebitamento tale da essere visto come l’anticamera del fallimento.

Prima di arrivare allo stadio di sofferenza bancaria, si deve obbligatoriamente passare da quello dell’incaglio bancario. Significa che la banca avverte il cliente debitore di rimettere la sua situazione economica a posto entro un termine negoziato, normalmente da 10 a 14 mesi. L’incaglio, pertanto, è sinonimo di “momentanea difficoltà economica” che può portare ad uno scoperto o ad un ritardo più o meno consistente del pagamento delle rate. Il perdurare di questa situazione, però, porta inevitabilmente alla situazione di sofferenza bancaria. Con delle conseguenze pesanti.

Sofferenza bancaria: cosa succede

Arrivati a questo punto, la banca comunica formalmente al cliente, tramite raccomandata a/r, la sua posizione e chiede che vengano restituiti entro 15 giorni tutti i crediti. Inoltre, l’istituto provvede alla segnalazione ufficiale di stato di sofferenza alla Centrale Rischi. Questo significa che tutte le altre banche verranno a conoscenza della situazione in cui versa il cliente, compromettendo eventuali futuri rapporti tra quest’ultimo ed altri istituti di credito.

Successivamente, la banca tenterà di recuperare il proprio credito per vie legali, prima con un decreto ingiuntivo e poi con una provvisoria esecuzione.

La segnalazione di sofferenza bancaria, recita la direttiva in materia, può essere fatta “di fronte ad una situazione di impotenza finanziaria che non lasci presagire alcun margine di superamento e tale da porsi come lo stadio immediatamente anteriore alla situazione di fallimento”. Per tornare all’esempio di prima, scambiare un raffreddore con una malattia terminale non è legittimo.

Cosa fare, dunque, se la banca precipita i tempi? Se non ci sono gli estremi ma la banca segnala comunque la sofferenza bancaria, il cliente può ricorrere al tribunale in sede cautelare con un ricorso d’urgenza. In questo modo potrebbe ottenere la cancellazione dello stato di sofferenza e della segnalazione alla Centrale Rischi. Altrimenti, il nome del cliente resterà nella “lista nera” della Banca d’Italia finché il debito non verrà completamente saldato.

 

 

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