Home arrow Press Room arrow Consulenza Legale arrow Fallimento: lo eviti trasferendo la sede?
Fallimento: lo eviti trasferendo la sede? PDF Stampa E-mail
Scritto da Nicola Tartaglia   
giovedì 30 giugno 2016

Fallimento: lo eviti trasferendo la sede?

Trasferirsi all’estero è utile ad evitare un fallimento? Ecco quanto stabilito dalla Corte UE.

 

Se resta in Italia il centro principale degli interessi della società, il trasferimento della sede all’estero non è sufficiente a garantire all’imprenditore lo stop alla procedura di fallimento.

A chiarirlo è stata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con l’ordinanza dello scorso 24 maggio [1]. 

Il quesito pregiudiziale era stato sollevato dalla Corte di Appello di Bari che nel richiamare il regolamento relativo alle procedure di insolvenza[2] ha richiesto alla Corte UE un’interpretazione che fosse in grado di dirimere la questione presentata da un’azienda del territorio.

Vediamo di cosa si tratta.

 

 

Il fallimento non si stoppa con il trasferimento all’estero: il caso di specie. 

Alcune società creditrici avevano fatto istanza di fallimento nei confronti di un’azienda la cui sede legale era stabilita a Modugno (BA).

L’azienda tuttavia pochi giorni prima aveva cambiato l’amministratore con un dirigente bulgaro e si era iscritta al Registro delle imprese della Bulgaria. Aveva dunque richiesto istanza di sospensione del fallimento.

Il tribunale di primo grado aveva respinto l’istanza ritenendo il trasferimento fittizio; la corte di Appello aveva invece sollevato questione pregiudiziale sull’articolo 3 del regolamento UE di riferimento [2], nonostante nel frattempo la Corte di Cassazione si fosse pronunciata confermando la sentenza dei giudici italiani.

 

 

Fallimento e trasferimento della sede all’estero: la decisione della Corte UE

La Corte UE, nel valutare la questione, ha colto l’occasione per riaffermare il principio della premazia del diritto comunitario, specificando come, anche se in base al diritto interno la decisione della Cassazione sulla giurisdizione è definitiva e vincolante per il giudice di merito [3], quest’ultimo può rivolgersi alla Corte Ue se ha dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione.

Secondo la Corte UE non risultava dunque rilevante il contenuto della norma nazionale:  il giudice nazionale, chiamato a interpretare il diritto Ue, qualora ritenesse che la valutazione del giudice superiore può condurlo “ad emettere un giudizio contrario al diritto dell’Unione” ha il diritto (dovere) di sottoporre questioni pregiudiziali a Lussemburgo.

Nel merito della questione interpretativa, i giudici UE hanno sottolineato che il centro degli interessi principali di una società ha luogo della nuova sede statutaria, ma solo sino a prova contraria.

Se cioè si accerta che il centro di interesse principale della società è in un luogo differente allora ciò di cui bisogna tener conto nel giudizio è la sostanza dell’operatività aziendale.

Nel definire il centro di interessi la Corte ha stabilità che esso è determinabile sulla base di “elementi oggettivi e riconoscibili da terzi”. Nella valutazione bisogna dunque tener conto di elementi quali i luoghi in cui la società esercita l’attività economica, il luogo in cui detiene i beni, l’esistenza di contratti sulla gestione finanziaria gestiti in uno stato membro differente da quello in cui la società ha sede.

 

 

Operatività dell’azienda: conta la sostanza non la forma

In definitiva per determinare l’effettiva operatività dell’azienda si deve tener conto dell’effettivo centro di interessi e non della forma espressa dai documenti statutari. Per questo motivo la decisione del giudice nazionale è da ritenersi corretta, il fallimento dunque non può essere interrotto per il mero cambiamento della sede societaria.

[1] Corte di Giustizia UE, causa C-353/15.

[2] Reg. UE n. 1346/2000, poi sostituito dal Reg. n. 2015/848.

[3] Cod. proc. civ. art. 382.

Note immagine: 123rf.com

 


 
< Prec.   Pros. >