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È legale emettere assegni postdatati? PDF Stampa E-mail
Scritto da Nicola Tartaglia   
domenica 24 luglio 2016

Tutti gli aspetti connessi all’emissione di un assegno postdatato: reato e multe, mancato pagamento dell’assegno per insufficienza di fondi sul conto corrente, nullità del patto con il creditore.

Emettere assegni postadatati è legale da un punto di vista penale e amministrativo, ma costituisce un illecito dal punto di vista tributario e, sotto il profilo civilistico, il patto di postdatazione è nullo, con la conseguenza il prenditore (il creditore, cioè, che è in possesso dell’assegno) può portare l’assegno in banca per l’incasso in qualsiasi momento, anche prima della scadenza della data ivi riportata. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire tutti i risvolti relativi al quesito di questo articolo: è legale emettere assegni postdatati?

È reato emettere assegni postdatati?

La risposta a questa domanda è facile e diretta: non si commette alcun reato nell’emettere un assegno postdatato.

L’unica ipotesi che potrebbe configurare un illecito penale, a detta di alcuni giudici, è quando il debitore, nel consegnare il titolo, fa credere – con artifici e raggiri – al creditore che il conto è coperto o che, per quella data, lo sarà. Fingere in malafede una situazione non vera, facendo ritenere al possessore dell’assegno che il titolo verrà onorato alla scadenza, integra il reato di insolvenza fraudolenta. Quello che, però, è richiesto al debitore per essere punito penalmente non è una semplice condotta passiva o silenziosa, ma una dichiarazione espressa o taciti comportamenti (ma, comunque, una condotta attiva) tali da trarre in inganno il creditore facendogli credere che il titolo sarà pagato.

Dunque, non costituisce reato l’emissione dell’assegno a vuoto, nella convinzione che, alla data riportata sul titolo per il pagamento, esso sarà coperto.

È illecito amministrativo emettere assegni postdatati?

Non si rischia alcuna multa nell’emettere assegni postdatati. In verità l’unica sanzione scatta se l’assegno, al momento della presentazione, risulti scoperto: in tal caso, scatta il protesto e solo allora il Prefetto emetterà la multa per il debitore che ha emesso un assegno a vuoto. Pagando immediatamente l’assegno, però, nelle mani del creditore, facendosi rilasciare la liberatoria, si può evitare anche la sanzione ammnistrativa.

È illecito tributario emettere assegni postdatati?

L’assegno postdatato altro non è che un accordo tra il debitore e il creditore in virtù del quale il primo rilascia al secondo una garanzia (il titolo di credito) per un pagamento futuro. Così strutturato, l’assegno postdatato svolge, in tutto e per tutto, la stessa identica funzione della cambiale: anch’essa è una promessa di pagamento futuro per un debito attuale. Senonché se, all’acquisto della cambiale si paga l’imposta di bollo, essa non viene pagata quando si usa il blocchetto di assegni dalla banca. E allora, utilizzare l’assegno in funzione di garanzia di un futuro pagamento – cioè creare un assegno postdatato – non è altro che un modo per evadere l’imposta di bollo che invece si paga con la cambiale.

Quindi, l’emissione di un assegno postdatato è un’evasione fiscale: un’evasione però di piccolo conto, che può essere sanata in qualsiasi momento attraverso la cosiddetta “regolarizzazione del titolo”, ossia pagando l’imposta e le sanzioni. Una volta effettuata la regolarizzazione, l’assegno può essere portato in banca e pagato anche prima della scadenza della data riportata su di esso.

Diversamente, se non si vogliono pagare le tasse, il creditore può continuare a conservare l’assegno nel proprio cassetto e portarlo all’incasso solo alla data indicata sul titolo. In tal caso nessuno si accorgerà della piccola evasione fiscale e l’assegno verrà pagato regolarmente.

È lecito il patto con cui si rilascia un assegno postdatato in garanzia?

Per ultimo analizziamo l’aspetto civilistico del problema: è valido l’accordo – tacito – siglato (oralmente) tra creditore e debitore al momento del rilascio dell’assegno postdatato, accordo in virtù del quale il creditore si impegna a non portare l’assegno all’incasso prima della data ivi indicata? La risposta è no! Secondo infatti la nostra legge, l’assegno è un titolo pagabile a vista, ossia in qualsiasi momento e a favore di chiunque se ne trovi in possesso. Quindi, se il creditore, in possesso di un assegno postdatato, decide di farselo cambiare in banca prima del termine, può farlo benissimo e la banca non può negarlo. Ciò però a condizione che prima venga regolarizzato il titolo dal punto di vista tributario, pagando l’imposta di bollo e le sanzioni (v. punto precedente). Questo perché, come detto, l’accordo di postdatazione è nullo da un punto di vista civilistico, è come se non fosse mai stato siglato.

Ma allora che garanzie ha il debitore quando rilascia un assegno postdatato? Nessuna. Possiamo dire che l’assegno postdatato è un patto sulla fiducia tra le parti, ma nessuno garantisce che esso verrà rispettato.

C’è però da dire che l’assegno postdatato non può essere utilizzato dal creditore per una eventuale esecuzione forzata o per chiedere un decreto ingiuntivo al tribunale. Quindi, se da un lato il titolo è un’arma contro il debitore, lo è anche per il creditore che si troverà per le mani un coltello spuntato.

Che alternativa c’è all’assegno postdatato?

Chi vuole evitare tutti i problemi che si hanno con l’assegno postdato può emettere una cambiale, la quale ha la stessa identica forza (è anch’essa un titolo di credito e, se non onorata, consente al creditore di agire direttamente con un pignoramento, senza prima dover fare una causa o richiedere un decreto ingiuntivo). Inoltre, la cambiale non crea problemi né dal punto di vista tributario, né dal punto di vista civilistico.

È anche vero che la cambiale non garantisce l’immediato cambio attraverso il conto corrente, ma è anche vero che il conto corrente potrebbe pur sempre essere vuoto e, dunque, l’assegno non avere alcuna utilità.

Creditore e debitore potrebbero optare per una via di mezzo, emettendo un assegno con data immediata, con l’obbligo scritto, assunto dal creditore, di non portarlo all’incasso prima di una predeterminata scadenza. Se il creditore viola tale accordo, la banca è comunque obbligata a pagare il titolo, ma il debitore – in forza della violazione della scrittura privata – gli può chiedere il risarcimento dei danni dimostrando che tra le due parti, dopo l’emissione del titolo, era intervenuta una transazione in forza della quale al debitore era stato concesso maggior tempo per adempiere.

In ultimo c’è la possibilità di consegnare la somma a un terzo soggetto, arbitro e imparziale, che la custodirà nelle proprie mani: questi potrebbe essere un notaio, un avvocato o anche (per gli importi di valore rilevante) un’assicurazione o una banca (con un contratto di deposito o una polizza assicurativa sul pagamento). Il terzo avrà poi il compito di versare l’importo al creditore una volta verificatasi la condizione prevista dal contratto (l’adempimento di una prestazione professionale, il compimento di un’opera, ecc.).

 

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